“Poi la serratura, improvvisamente docile, si sbloccò nella sua mano con un gemito e la porta si aprí”. Ciò che Angela non può sospettare, quando decide di raggiungere l’isola maledetta, l’isola lager, è che il segreto sepolto tra quei bianchi enormi edifici sia piú sconvolgente di ogni immaginazione. E che spetti proprio a lei disseppellire quel segreto e affrontarlo a viso aperto. Costi quel che costi, per il bene di tutti. Ciò che Angela non ha assolutamente messo in conto, è che si apra per lei a Leros l’avventura della vita.
E’ stato presentato a Firenze “La prima verità”, romanzo di Simona Vinci e vincitore del Premio Campiello 2016. La presentazione ha chiuso il ciclo di eventi “Energia d’autore” iniziato a luglio nel Punto Enel di Verona e proseguito a Bologna,  Torino e Salerno.
 
Con “La prima verità” che, fin dal titolo, da un verso di Ghiannis Ritsos, allude a una verità di valore assoluto oltre e attraverso le vicende del libro, che si svolgono in luoghi e tempi diversi, e delle vite dei personaggi che via via si presentano al lettore, Simona Vinci torna al romanzo dopo molti anni, e vi torna con una felicità e una libertà mai raggiunte prima. 
La ricerca alle radici del male e della follia nella Grecia del regime dei colonnelli, conduce l’autrice a fare i conti con se stessa, con i propri fantasmi, aiutata da un’unica forza salvifica: quella della scrittura. 
 
Una giovane donna va alla ricerca del misterioso passato dei reclusi di un enorme lager in un’isola greca dove il regime dei colonnelli confinò insieme folli, poeti e oppositori politici. E sprofonda, come il coniglio di Alice, seguendo tracce semicancellate, archivi polverosi e segni magici, in una catena imprevista di orrori e segreti dove la pazzia sempre più si mostra come eterno segno dell’opposizione e della ribellione e il passato rivive in storie miracolose, in una festa del linguaggio e della parola. 
 
Nella seconda parte del romanzo la detection su follia, normalità e violenza della giovane donna si allarga al mondo contemporaneo e finisce col diventare inevitabile, sconvolgente autobiografia dell’autrice, dove il nodo del rapporto con la madre e la scoperta del fantasma della propria follia (e di quella materna) si aprono in immagini di rara forza. Unica salvezza è la parola poetica, la passione di dire e raccontare che unisce i mondi nel gesto individuale di chi ha il coraggio di cercare ancora “La prima verità”.
 
Simona Vinci è nata a Milano nel 1970 e vive a Bologna. Il suo primo romanzo, Dei bambini non si sa niente (2009) ha riscosso un grande successo. Il libro, vincitore nel 2000 del Premio Elsa Morante opera prima, fa ottenere alla scrittrice un grande successo di pubblico e di critica tanto da essere stato tradotto in numerosi altri paesi, tra i quali gli Stati Uniti. Sono poi usciti una raccolta di racconti In tutti i sensi come l’amore (Stile libero, 1999) e i romanzi Come prima delle madri (2003 -2004), Brother and Sister (2004), Stanza 411 (2006) e Strada Provinciale Tre (2007). Per i lettori più giovani ha pubblicato Corri, Matilda  e Matildacity (1998). Ha scritto il racconto La più piccola cosa pubblicato nell’antologia Le ragazze che dovresti conoscere (2004). Inoltre nel 2010 ha collaborato alla raccolta Sei fuori posto.
 
Il romanzo della Vinci nell’ultima edizione del Premio Campiello, istituito nel 1962 per volontà degli Industriali del Veneto e ritenuto uno tra i più prestigiosi d’Italia e tra i più importanti nel panorama editoriale italiano, ha ottenuto 79 voti sui 280 inviati dalla Giuria dei Trecento Lettori Anonimi. Al secondo posto con 64 voti si è classificata Elisabetta Rasy, con Le regole del fuoco (Rizzoli), e al terzo con 62 voti Andrea Tarabbia con Il giardino delle mosche (Ponte alle Grazie). Al quarto con 41 voti Luca Doninelli, Le cose semplici (Bompiani) e al quinto con 34 voti Alessandro Bertante, Gli ultimi ragazzi del secolo (Giunti).
 
“A questo libro – ha detto Vinci – ho dedicato molti anni, ci credevo molto e ho lottato per scriverlo. Ho costruito una storia-mondo, che contiene dolore e speranza. L’io narrante che apre e chiude il romanzo riesce a tendere una mano verso chi legge e portarlo dentro queste vicende a farsi raccontare storie che hanno a che fare con mondi difficili da ascoltare. Il tema follia-normalità riguarda tutti, capita a molti di avere periodi di depressione che diventano qualcosa di peggio perché non ascoltati, perché chi ha dei disagi psicologici non ha il coraggio di ammetterlo, di mostrarsi e chiedere aiuto”.

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