Lo studente che inizia il corso di latino non impiega molto tempo ad apprendere e conoscere il significato del verbo “putare”. 
 
Se è italiano, sa che esistono alcune parole, per quanto “dotte”, come reputare, putativo, reputazione, e “putare”, che si usano ancora: non so però in che misura il nostro studente le usi egli stesso, e se le sappia usare. Se poi conosce anche altre lingue europee appartenenti alla famiglia neo-latina, le lingue dette anche romanze, ricorderà che in ognuna di esse esiste tutta una serie di parole che ugualmente contengono come elemento strutturale la radice “–put”  del verbo latino putare.
 
Lo stesso studente, nello stesso tempo, non ignora che nel linguaggio tecnico dell’agricoltura,  esiste la parola “potare” molto più familiare, anche perché è l’unica, per denotare l’azione del “tagliare i rami di una pianta per alleggerirne la chioma e prepararla ad una fioritura sopportabile e ad una produzione diciamo pure razionale”. È questo infatti il significato di potare. Appunto.
 
Emile Benveniste, nel suo vocabolario delle istituzioni indoeuropee, collega morfologicamente le due radici presentando la prima all’origine della seconda (di cui è metafora), facendo vedere così come in tantissimi casi il linguaggio astratto della vita del pensiero sia in sostanza una trasposizione (metafora) del linguaggio concreto della vita pratica. 
 
Il lettore da solo (o con l’aiuto di un vocabolario) scoprirà tante situazioni analoghe in cui il linguaggio delle astrazioni concettuali è ricalcato su un corrispondente linguaggio delle azioni concrete, specialmente quelle primitive e di tipo quotidiano. 
 
Il transfert semantico da un campo di significato all’altro (aree semantiche) può sembrare di semplice intuizione per noi che ci avviciniamo all’argomento ora che ci siamo accostati a questa disciplina e dopo che lo scienziato ce l’ha mostrato; ma lo studioso ha dovuto approfondire la ricerca mediante ipotesi (esempi) e verifiche per avere la conferma del suo assunto teorico.
 
Dice il Benveniste che “puto” è tagliare e che poi diviene anche “stimare”, “ritenere”, proprio perché l’atto di esprimere una valutazione è di tipo selettivo, per esclusione: quindi altro non è che un “tagliare e lasciar cadere” mantenendo tra i possibili giudizi quello ancora valido in quanto soggetto proponibile per un’ulteriore valutazione. Fino alla scelta definitiva. 
 
Putare (tagliare), quindi, come “valutare per esclusione”. Alla fine:  “giudicare, stimare e ritenere”.
Senza spendere più parole, con l’aiuto però del quadro schematico di alcuni verbi latini (composti di puto) e mediante pochissime indicazioni di carattere etimologico, il nostro studente della premessa, al quale soprattutto mi rivolgo, non avrà difficoltà a cogliere il senso della lezione. 
 
Puto, -as; -avi; -atum; -are = tagliare, potare 
 Puto → tagliare →  valutare (ritenere valido, dopo aver eliminato le altre opzioni)   Es.: “Rationem putare”.
Ambi + puto → amputo→ tagliare di qua e di là →  amputare.
Cum  + puto → computo→                  → computare (contare, calcolare)
De+ puto → deputo→ deputare 
In + puto → imputo →                  imputare (ritenere)
Inter + puto → interputo → sfrondare 
Ob+ puto→ opputo (opto) → potare→  scelgo
Re  + puto → reputo→                   reputare 
 
NOTA: Ho scelto il verbo puto (puto, -as, …) perché è facile e anche perché la massa lessicale da esso derivata nella lingua italiana, anche morfologicamente, è facilmente riconoscibile.
 
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