Plastic Village – Il limite imperfetto tra architettura e design. A Napoli una soluzione abitativa di prima ospitalità in plastica si presenta in un workshop e in una mostra. Da anni la Fondazione Plart, sede di una delle collezioni tra le più importanti al mondo per la sua organicità in materia di polimeri, è un punto di riferimento in materia di conservazione, tutela e restauro delle plastica. Tale ricerca si allarga all’ambiente accademico, attraverso collaborazioni con Università e Istituti di Ricerca di rilievo internazionale. Proprio partendo da questi presupposti, con il coordinamento e curatela dell’architetto Cherubino Gambardella e sotto il patrocinio della Seconda Università di Napoli, il progetto Plastic Village – Il limite imperfetto tra architettura e design affronta una delle questioni più complesse e attuali del nostro tempo: quella dell’immigrazione.
La Fondazione Plart ha trovato in Cherubino Gambardella una mente affine nell’affrontare questo tema: la visione utopica della creazione di un nuovo tessuto urbano che traspariva nella mostra di Gambardella intitolata Supernapoli e presentata nel 2014 alla Triennale di Milano, è stato il fondamento per affrontare un compito così multiforme come quello di ideare una soluzione abitativa di prima ospitalità in plastica, che non solo risponda alle esigenze tecniche, ma dia importanza a quei valori architettonici, etici e sociali che la Fondazione Plart si propone di sottolineare attraverso la sua ricerca. Gambardella afferma poi l’esigenza di creare dei Plastic Village che non abbiano un’utilità puramente tecnica, ma che servano a dare “all’accoglienza un carattere gradevole sin dalla prima fase, che è quella più difficile, dell’ospitalità immediata, che va risolta in modo sorridente e architettonicamente plausibile, nell’attesa o di una implementazione definitiva della struttura di prima accoglienza o, ancor meglio, di una più solida politica di integrazione stabile”.
L’architettura tessile si propone come la risposta al tema della temporaneità, divenendo non più isolamento del diverso ma un mezzo di integrazione degli individui, che in quest’ottica divengono ospiti e non più stranieri.
Durante il workshop gli allievi della Seconda Università di Napoli saranno chiamati ad esplorare, analizzare e proporre soluzioni al tema dell’abitare nomade e dell’ospitalità. L’innovativo metodo di lavoro, che prevede l’utilizzo di un tavolo a piani sfalsati, permetterà agli studenti di fornire, affacciandosi sul lavoro dei diversi partecipanti, una risposta non più solo individuale ma, al tempo stesso, corale. Lo scopo del workshop sarà l’ideazione di uno spazio abitativo minimo pensato in plastica che non rappresenti solo una soluzione funzionale, quindi, ma che rispetti anche i principi alla base del progetto.
Questa sfida architettonica, etica e culturale, non si esaurisce all’interno del workshop ma diviene la base per creare una mostra che serva da spunto per coinvolgere e far riflettere tutti i partecipanti. Verranno esposte sul tavolo di lavoro, presentato così come gli studenti lo lasceranno dopo il workshop, tutte le loro idee sul tema. Ad esse si aggiunge il prototipo vero e proprio di una unità abitativa in legno e plastica realizzata da Cherubino Gambardella. Di particolare rilievo risulta l’approccio architettonico di Gambardella alla questione affrontata, che non si limita ad immaginare una soluzione decontestualizzata ma, grazie a 24 disegni realizzati con la ormai rara tecnica del collage e al confronto scaturito durante il workshop, restituisce la sua visione agli occhi dello spettatore quale soluzione partecipata e adattabile ad ogni contesto urbano.
“In questa mostra/workshop non ci occupiamo di case finali ma di estetica, potenza plastica e forza dell’emergenza che può trasformarsi in qualcosa che non si butti via ma che si possa migliorare rendere stabile senza configurare un lager o una favela in una grande metropoli europea”. Gambardella spiega che il villaggio di plastica cerca di rispondere a una domanda che i territori occidentali si troveranno sempre più spesso davanti al loro destino. E se citando Valerio Magrelli, “dobbiamo trasformare lo straniero in ospite e un ospite”, l’architettura tessile può essere la “sontuosa risposta al tema della temporaneità, ma può anche solidificarsi senza divenire baracca. Si muove, si inserisce, modifica lo spazio della città con una velocità fatta di piccoli plotoni di tende nomadiche e ricettive: il Plastic village è forse l’unica via di uscita realmente possibile per iniziare un futuro di integrazione, di architettura democratica”.