Tullio Pizzorno è un compositore e autore a 360 gradi, che nel suo percorso ha collaborato con numerosi artisti di primo piano e che ha portato avanti una sua carriera da solista. L’Italo Americano lo ha incontrato in occasione dell’uscita di Banca d’Italia, l’ultimo album di Alberto Radius, di cui Tullio ha scritto le parole di cinque brani.
 
La sua disponibilità ci ha messi facilmente in contatto e questa è stata l’occasione per scoprire un artista e il suo mondo, le sue collaborazioni importanti, quella con Mina in primis (Di vista, Musica per lui e La fretta nel vestito), senza dimenticare le canzoni scritte per Linda e i Collage, la musica da film, il jazz, l’incontro con Gino Vannelli e il lavoro con Niels Lan Doky. Nel mese di maggio uscirà il suo sesto e nuovo lavoro discografico, intitolato Charisma.
 Il chitarrista, compositore e autore di testi casertano Tullio Pizzorno 

 Il chitarrista, compositore e autore di testi casertano Tullio Pizzorno 

 

Ha scritto canzoni per Mina, che sono state incise nei suoi album Pappa di latte (1995), Cremona (1996) e Bula Bula (2005), dove è messa in evidenza l’anima jazz. Com’è nata questa collaborazione?
Direi, all’inverso, che proprio una delle sue mille anime, forse quella più funk-jazz, ravvisò nei miei lavori questa incredibile identificazione. Mina mi telefonò personalmente quattro anni dopo il mio invio di una cassetta; stentavo a credere alle mie orecchie, ma poi mi lesse i titoli di alcuni brani contenuti sul nastro, quindi solo la vera Mina poteva esserne a conoscenza e doveva essere per forza lei. Da lì nacque tutto; mi disse espressamente che le piaceva il mio mondo musicale e mi chiese altro materiale; quindi iniziammo a lavorare. 
 
È curioso come a tutt’oggi le canzoni, per le quali mi aveva telefonato, che erano sul primo nastro, non le abbia ancora incise. In totale comunque ora “possiede” circa una ventina di mie canzoni.
 
Recentemente è uscito il nuovo album di Alberto Radius, dove ha scritto i testi di cinque brani. Questo, dopo la scomparsa di Oscar Avogadro, suo paroliere storico, ha permesso a Radius di completare un progetto fermo da anni.
Conosco Radius dagli inizi degli anni novanta, ma lo stimo musicalmente fin dalla mia adolescenza, perché amo da sempre Battisti e il mio strumento principale è la chitarra, quindi era normale che amassi anche Radius. Poi mi proposi a lui in quanto produttore, e subito scoccò la scintilla di interesse da parte dell’allora nascente Rti music. 
 
Quanto all’ultimo lavoro di Radius, ora, dopo vent’anni… mi è venuto naturale trasformare in testi tutto quello che assorbii stando accanto ad Oscar, tanto da dedicargli uno dei brani più belli dell’album (“Faccio finta che ci sei”).
 
In “Dusseldorf” ho immaginato la storia di un manager sempre fuori, in viaggio, che si costruisce una doppia vita all’estero, e in Talent Show mi sono proprio divertito a fare ironia su questi macelli musicali di oggi, e Alberto era l’unico ad avere il piglio adatto per capirlo e rappresentarlo: “ho lo stomaco vuoto ma valeva la spesa per il book delle foto”.
 
Ho anche un altro brano che è di una sintesi pazzesca: in “Count Down”, in soli tre minuti di canzone, c’è un astronauta che parte, arriva nello spazio, guarda il mondo nella sua piccolezza, poi torna sulla Terra e capisce di essere cambiato. Forse pensavo a Luca Parmitano (astronauta italiano n.d.r.).
 
Quindi il vostro rapporto di lavoro risale ai tempi della Rti?
In effetti fu proprio da quei provini per la Rti che cominciammo a lavorare insieme. Il top mi accadde quando una volta, mentre andava l’ascolto di un mio brano, Alberto venne a chiamarmi dalla stanza accanto allo studio dove c’era una persona che voleva sapere di chi fosse quella musica… quando entrai nella stanza e vidi Lucio Battisti, intento a scartabellare fogli,… rimasi di pietra. Lui non alzò nemmeno lo sguardo ma disse a voce bassissima: “Vai, vai… continua”.
 
Come ha conosciuto il grande musicista italo-canadese Gino Vannelli?
Gino, lo conosco musicalmente da una vita, ed è per me una vera scuola di armonia musicale. Ho avuto la fortuna di conoscerlo personalmente nel 2000, grazie al mio caro amico Fabrizio, direttore artistico dell’ Eddie Lang Jazz Festival. Ho incontrato Gino nel pieno del suo “rilancio” jazz, ai tempi di Yonder Tree, quando era, tra l’altro, accompagnato pure da due terzi degli Uzeb (storica band jazz fusion); insieme a lui ebbi modo di conoscere Alain Caron e Paul Brochu, ma anche il percussionista Luc Boivin, col quale poi siamo rimasti in contatto. Devo poi a Gino l’incontro con Niels Lan Doky, pianista di gran classe, con uno stile a metà tra Bill Evans e Oscar Peterson. 
Con Niels ho collaborato alla realizzazione di “Italian ballads”, un disco di canzoni classiche italiane in versione strumentale, in trio jazz (piano, batteria, contrabbasso). 
 
Niels Lan Doky mi chiese una mano a scegliere i brani, ma poi volle includere tra questi classici anche una mia canzone. In precedenza avevo inciso due provini sulle basi realizzate proprio da Gino e Niels, dove avevo cantato “Close your eyes” e “Parole per mio padre” (entrambe tratte dall’album Haitek Haiku di Niels, la seconda col testo di Pino Daniele). 

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