Fatum significa “il detto”. È il participio passato, meglio se diciamo “perfetto”, del verbo latino: for, faris;  fatus sum;  fari (= “parlare, dire”). 
 
La radice della parola è “fa”, corrispondente alla radice greca φα/φη [fa/fē] (vedi anche il verbo greco φημί [phēmì] = parlo, dico), la quale ritorna in tutta la grande famiglia di parole (si dice anche: sfera lessicale) di quest’area semantica (cioè, campo di significato) delle lingue indeuropee. Parole che troviamo quasi identiche nel francese, nel portoghese, nello spagnolo,  ecc.    
 
Ecco. Fatum dovremmo tradurlo allora con “il Detto”. Corrispondente alla voce greca Logos, utilizzata nel Vangelo di Giovanni (periodo ellenistico), che san Girolamo, in latino, traduce Verbum (Parola di Dio). 
 
Non può utilizzare Fatum, essendo questa una parola fortemente connotata dalla storia del pensiero religioso del mondo classico, a cui si contrapponeva la nuova religione cristiana. Quindi, parola inflazionata. Inoltre nella visione cristiana il Verbo è persona, il Figlio di Dio. Egli stesso è Dio.
Eppure l’autore del Vangelo di Giovanni la usa tranquillamente, con chiaro riferimento alla tradizione filosofica greca.
 
Da quanto detto, emergono due cose importanti. 
La prima attiene alla storia delle culture. E ci mostra quanto siano sorprendentemente vicine culture che, chi sa perché, noi abbiamo sempre considerate diverse e opposte. Senza voler sminuire con questo la differenza, l’originalità, e la grande novità del Cristianesimo, sia rispetto alla visione ebraica che a quella pagana: la filosofica dei Greci, e la mitologica dei Romani.
 
La seconda è di tipo antropologico e ci fa vedere come in ogni civiltà sia costante ed uniforme l’atteggiamento dell’uomo antico di fronte al miracolo del linguaggio umano e la conseguente consapevolezza storica della sua portata (simbolizzare, argomentare, raccontare, produrre testi rituali; e poi anche scrivere): forza meravigliosa, originale e creativa che prospetta il mistero della creazione.
Consegna della eredità divina (come sostiene il Foscolo in “dei Sepolcri”, parlando di mitologia e poesia).
Se poi questa attività “divina” dell’uomo la presentiamo con la parola greca, scopriamo un altro assioma: l’intuizione dell’identità tra pensiero e linguaggio. Infatti, in greco λόγος (logos) è pensiero, ed è discorso. 
Questa nostra riflessione sulla “parola” (linguaggio), o questo parlare del “pensiero”, merita un ulteriore approfondimento. Che lascio all’iniziativa del singolo lettore.
 
Se vi va, però, cari amici studenti che immagino numerosi nella schiera dei miei lettori, voi potete continuare a giocare con le parole (la famiglia del /parlare/) anche da soli, partendo da quelle italiane: fama, fante, infante, fata, famigerato, fàtico, nefando, prefazione, profezia, eufemismo, affabile, ineffabile, favella, favola, affabulazione, fandonie, ecc.. E anche fatale, fatalità e fatidico più direttamente collegate a fato.
 
Passando poi a quelle corrispondenti delle lingue sorelle: francese, spagnola e portoghese. Non è difficile: vi aiuteranno i vocabolari.
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