L’imponente struttura in legno primeggia quasi solitaria. In lontananza pare una sfinge posta a vessillo, il punto cardinale verso cui orientare la bussola, un’immagine che si vivifica nella mente del visitatore e immediatamente diventa attrazione. Che sia il primo o l’ultimo salotto espositivo, Padiglione Zero è il vero cuore pulsante di Expo Milano 2015.
L’allestimento architettonico è un ammirevole esempio dell’eccellenza italiana che ne firma il progetto. Michele De Lucchi, designer e architetto, e Davide Rampello, regista televisivo e direttore artistico, sono i curatori della mostra che apre l’ingresso ovest dell’Esposizione Universale del Cibo.
“Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita” è l’impegnativo tema della manifestazione, coniugare spreco e denutrizione, obesità e anoressia, innovazione e tutela ambientale, industrializzazione e salvaguardia del territorio, benessere e salute. Trovare un equilibrio tra i nostri bisogni e il rispetto della natura debellando la fame e riducendo lo sperpero di risorse. Ma come fare senza essere banali, ruffiani e autoreferenziali? Come destare l’interesse e la sensibilità del pubblico verso argomenti così importanti? La risposta è un viaggio in una persuasiva metafora.
L’incisione in latino “Divinus halitus terrae”, letteralmente il “divino respiro della terra”, risalta solennemente sulle porte del Pavilion Zero introducendo la sommessa sacralità del percorso espositivo.
Superata la soglia si è immediatamente immersi in una teatrale suggestione. Ad accogliere i visitatori è una biblioteca, una di quelle biblioteche antiche, intarsiate in legno, una di quelle che immediatamente riporta alla mente l’odore di libri usurati, il vociare delle università, il sapore di sapere. È una biblioteca ad accoglierci perchè è solo quella che può salvarci, custode di saggezza e conoscenza, divinità a cui affidarci per un’esistenza libera e dignitosa. Questa visione monumentale è intitolata “Il teatro della memoria” e attraverso di essa si è introdotti nel secondo livello: “La memoria digitale”.
Proprio alle spalle della biblioteca, ecco un lenzuolo bianco, sipario per la proiezione di quattro cortometraggi originali che narrano la caccia, la pesca, la coltivazione e l’allevamento. Nella stessa ala è posta anche la riproduzione di una quercia secolare che si estende per tutta l’altezza del padiglione e che incornicia la sua chioma trapassando il tetto, un simbolo di cambiamento e adattamento.
L’ineguagliabile forza della natura diventa così capacità di adeguarsi ai mutamenti fatti dall’uomo assumendo addirittura una parte in quella stessa trasformazione. La rassegna continua in una coerente lezione di storia che ha inizio da un mulino e un orcio di creta, similitudini di una primitiva civilizzazione, e si articola poi in plastici che raffigurano piccole aggregazioni rurali, cittadine operaie e infine una metropoli dai tratti newyorkesi. Proseguendo si incontra un tabellone luminoso che richiama i grafici e i numeri di Wall Street, sintesi degli eventi che accadono in contemporanea nel mondo ogni giorno.
È questa la rappresentazione della civiltà nella sua espressione più superba alla quale si assiste inevitabilmente fieri. Ma, dopo Wall Street, ci si ritrova inermi davanti alla scioccante rivelazione che la nostra civilizzazione non ha fatto altro che raggiungere il suo culmine nella degenerazione della inciviltà.
Oltre Wall Street, una montagna, la disgustosa raffigurazione delle immani quantità di cibo ridotte ad immondizia ogni giorno. E senza aver bisogno di pietose immagini da Terzo Mondo, di bambini affamati, di uomini e donne ridotti pelle e ossa, è del tutto impossibile non pensare a loro nell’assistere al dissacrante sperpero del troppo. A questa visione la nostra coscienza, come un invisibile tribunale, non può che giudicarci tutti colpevoli. Il Padiglione Zero si conclude in un salone fotografico con le straordinarie immagini dei luoghi più belli del Pianeta. Dai paesaggi dell’Amazzonia, agli scatti di oceani, agli squarci di cielo. E un sola frase balena nella mente: “Verità è bellezza, bellezza è verità. È tutto quello che sapete sulla Terra, e – diceva John Keats – tutto quello che avete bisogno di sapere”.