L’Italia si colora di coriandoli e stelle filanti, intona divertenti filastrocche, indossa abiti variopinti, maschere allegre, sfilano e ballano su carri allegorici. È il Carnevale con la sua atmosfera di gioia, buonumore e libertà che percorre la penisola, da nord a sud.
 
LE ORIGINI – Festa celebrata nei Paesi di tradizione cattolica, il termine Carnevale deriva dal latino “carnem levare” (“eliminare la carne”) e si riferisce all’antico banchetto che si teneva il martedì grasso, ultimo giorno di festa seguito dal periodo di astinenza e di digiuno della Quaresima.
 
Al di là del suo significato religioso, le modalità di celebrazione risalgono a tempi più antichi. Durante le feste dionisiache nell’antica Grecia o i Saturnali nell’antica Roma, i ruoli e le gerarchie sociali venivano stravolti e capovolti con il trionfo del caos, dello scherzo e della dissolutezza. Il povero diveniva ricco, lo schiavo padrone in uno stravolgimento simbolico che mirava a ricostituire dal caos un ordine nuovo. 
Lo stesso rovesciamento della società avviene oggi tramite l’elemento distintivo e caratteristico della maschera che, una volta indossata, ha il potere di nascondere la propria identità e di assumere le sembianze di qualcun altro giustificando caratteri e azioni bizzarre, al di fuori dell’ordinario. 
  La maschera piemontese Gianduja

  La maschera piemontese Gianduja

L’originalità e la briosità della festa carnevalesca è proprio in questo mascheramento che, nel corso degli anni, si è rinnovato attingendo a fumetti, film e cartoni animati (da Biancaneve a Topolino, da Tom & Jerry a Titti e Gatto Silvestro, da Zorro a Batman, Superman e Spiderman) e ispirandosi a personaggi del mondo dello spettacolo e della politica. 
 
MASCHERE REGIONALI – Scavando nel passato della cultura italiana, riscopriamo le origini delle maschere più classiche e popolari di servitori, contadini, mercanti, soldati e dottori che, indossate da attori, hanno preso vita nella Commedia dell’Arte tra XVI e XVIII secolo, per poi essere esportate in tutta Europa. Ancora una volta l’Italia si distingue per una tradizione secolare che caratterizza il proprio Carnevale, le cui maschere originarie, sedimentate nel tempo, continuano a costituire costumi e caratteri peculiari e unici alla cui nascita hanno contribuito in modo diverso tutte le regioni.
 
PIEMONTE: Gianduja – Dal Piemonte viene Gianduja, maschera popolare di origini astigiane nata nel 1798, il cui nome deriva dall’espressione piemontese “Gioann dla doja” (“Giovanni del boccale”). Originariamente chiamato Gerolamo, il personaggio fu ribattezzato all’inizio dell’800 per evitare allusioni politiche al nome di Gerolamo Bonaparte, parente dell’imperatore. Si distingue per il suo cappello a tricorno, la parrucca con un codino, un abito di panno color marrone bordato di rosso, un panciotto giallo e un fiocco verde oliva sul collo. 
 
Distratto, allegro e amante del buon vino e della buona tavola, è un galantuomo, fedele alla sua compagna Giacometta, dotato di buon senso e coraggio, incline al bene e impegnato in opere di carità. Nella settimana che precede la Quaresima visita ospizi, ricoveri e ospedali per bambini distribuendo caramelle avvolte in un cartoccio esagonale con impresso il suo profilo caratterizzato dal tricorno delle armate piemontesi ottocentesche alle quali si deve l’Unità d’Italia. Dal suo nome derivano le specialità torinesi della cioccolata di tipo gianduia e il relativo cioccolatino gianduiotto.
  Arlecchino 

  Arlecchino 

LOMBARDIA: Meneghin, Arlecchino, Brighella e Gioppino – In Lombardia nasce la maschera milanese di Meneghino (in milanese Meneghin), diminutivo del nome Domenico in riferimento al servo che i nobili meno facoltosi potevano permettersi di assumere solo la domenica. Meneghino incarna uno stereotipo di servitore rozzo ma generoso e di buon senso. Si schiera al fianco dei suoi simili, deride i difetti degli aristocratici. Privo di maschera e senza trucco, con il suo cappello a tre punte e la parrucca con codino alla francese, indossa una lunga giacca di velluto, calzoni corti e calze a righe rosse e bianche. 
 
Bergamo dà i natali a due famosi antagonisti: Arlecchino e Brighella. Caratterizzato dai suoi cento colori, Arlecchino si afferma nella Commedia dell’Arte del XVI secolo e nasce dalla contaminazione tra lo Zanni bergamasco (versione veneta del nome Gianni molto diffuso tra i servitori dei nobili e dei ricchi mercanti veneziani) e i diabolici personaggi farseschi della tradizione popolare francese. A causa della sua povertà, non può permettersi un abito. Il suo costume è così colorato perchè le altre maschere, sue amiche, gli regalarono a carnevale un pezzo di stoffa avanzata dalle loro vesti cosicché la madre potesse cucirgliene uno. Oggi il personaggio conserva la maschera nera, il berretto bianco, una spatola di legno e, al posto dell’abito rappezzato, un vestito colorato con bande a colori alterne ben disposte. È pigro, stravagante, scapestrato, furbo e pieno di coraggio. È innamorato della serva veneziana Colombina. Le sue doti caratteristiche sono l’agilità, la vivacità e la battuta pronta. 
 
L’antagonista Brighella, il cui nome ne indica il carattere attaccabrighe e imbroglione, riveste il ruolo di cuoco, cameriere e capo servitù, al quale piace esercitare il suo potere sui semplici servitori. Scaltro e astuto, ossequioso con i potenti e insolente con i deboli, si vanta di indossare la “livrea”, simbolo dell’appartenenza al padrone: calzoni larghi e giacca bianchi, listati di verde, un mantello bianco con strisce verdi, un berretto a sbuffo e la mezza maschera sul viso.
 
Tra le province di Bergamo e Brescia, compare tra fine ‘700 e inizio ’800 anche il furbo contadino Gioppino. Innamoratissimo della moglie Margì, è rude e rozzo, ma di buon cuore. Porta con sé un bastone che usa per difendere poveri e oppressi. Buffo e simpatico, ha una risata contagiosa; ama il cibo e il buon vino. Indossa un grosso panno verde orlato di rosso, pantaloni scuri da contadino e un cappello rotondo. La sua principale caratteristica fisica sono tre grossi gozzi, da lui chiamati le sue granate o coralli, che ostenta non come un difetto fisico, ma come veri e propri gioielli.  
 
VENETO: Pantalone e Colombina – Venezia, la città del carnevale italiano per eccellenza, ci regala la maschera di Pantalone, il tipico mercante veneziano: un vecchio brontolone, testardo, avaro, sempre nervoso e “rompiscatole” che crede solo nel denaro e nel commercio. Molto spesso sputa sentenze e si inserisce, non invitato, in dispute che non gli competono. Veste sempre in modo semplice: pantofole, camicione e calzamaglia rossi, un colletto bianco e un mantello nero, in testa una cuffia aderente e una maschera sul volto. Sua figlia Rosaura, altra tipica maschera locale, è una giovane ragazza innamorata. Le piace chiacchierare con la cameriera Colombina, tramite la quale spedisce lettere al fidanzato Florindo. Il suo abito è blu decorato con fiocchi e nastri. 
 
Colombina è l’unica maschera femminile ad imporsi con il suo forte carattere tra tanti personaggi maschili. Già presente nella commedia di Plauto la figura della furba ancella adulatrice, il nome di Colombina compare per la prima volta nel ‘500 nel ruolo della servetta dedita ai sotterfugi domestici e amorosi della padrona. È l’innamorata di Arlecchino che, nonostante nelle rappresentazioni assuma i nomi diversi di Betta, Franceschina, Diamantina, Marinetta, Corallina, Violetta e Arlecchina, è sempre la stessa serva dalla parlata veneziana, con un vestito a fiori bianchi e blu, vivace, allegra, bugiarda, maliziosa, chiacchierina, furba,fedele alla sua padrona.
 
 

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