Nella storia a noi più vicina, la spiritualità di San Filippo Neri (1515 – 1595), ripresa poi da S. Giovanni Bosco (1815 – 1888), ha considerato il gioco, la ricreazione, il lavoro, l’attività formativa, in quanto attività primaria della gioventù, come una preghiera. In un progetto di educazione totale della persona. È questa la pedagogia dell’oratorio, dove la maggior parte delle attività si svolgono. 
 
Attività che come ho detto (la prima parte dell’articolo è stata pubblicata la settimana scorsa, ndr) sono già preghiera, e che si sublimano nel momento della invocazione a Dio, nel luogo deputato: che sia il campo di calcio, oppure il teatro, o la stanza delle riunioni, o la cappella dove si custodisce il Sacramento.
 
Ciò significa che al centro di tutte le attività dell’oratorio c’è un tipo di catechesi (insegnamento religioso) costruito a partire dal proprio vissuto individuale, offerto a Dio come preghiera. Infatti è questo l’oratorio: come per i monaci benedettini, il luogo dove tutta la vita è una preghiera.
 
Ma volendo si potrebbe anche prescindere da una opzione di fede, intesa come scelta personale di adesione ad una proposta religiosa e accettazione di una rivelazione divina, e spostare il problema sul piano della ragione o della coscienza. 
 
E troveremmo comunque una risposta, che, antropologicamente parlando, tenga conto della tradizione culturale e storica di una collettività. 
 
Anche in questo caso non si dovrebbe prescindere dalla centralità della “preghiera” nella vita dell’uomo, e si recupererebbe allora, ancora una volta sebbene in maniera laica, il senso originario di “oratorio”, attraverso la valorizzazione del culto alla divinità, l’adorazione del Dio dell’amore e della vita, le devozioni scaturite dalla pratica dei buoni sentimenti, e un ideale di vita accettata e svolta in sintonia col creato. Almeno per gli esseri razionali. 
 
Per questo motivo anche in una possibile visione laica, e diciamo pure laicista, chiunque può avvicinarsi all’oratorio rispettandone la finalità di chi l’ha ideato e l’ha voluto, e di chi, accettandone l’eredità, ne ha fatto motivo di impegno civile, morale e religioso. Come si vede, qui non c’è né proselitismo, né coartazione di coscienze, ma piuttosto una vera educazione allo spirito libero e alla responsabilità personale.
 
Anzi a voler essere veramente “laici”, bisognerebbe partire dal riconoscere che nel progetto educativo, è primaria e fondamentale l’esigenza, ai fini di una educazione totale e completa della persona, della preghiera non come qualcosa di estraneo o di aggiunto alla umanità, ma come l’atteggiamento più naturale e congeniale della stessa condizione umana.
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