Ci sono date che è bene non dimenticare. Con questo spirito L’Aquila ha reso omaggio a una delle sue concittadine più amate e famose, Trebisonda Valla, detta Ondina.
Sembra proprio che ai numeri piaccia scherzare: la vita dell’atleta è stata interamente scandita da quelle che oggi risultano cifre tonde: nel 2016 sono stati celebrati i cento anni dalla sua nascita, ottanta dalla medaglia olimpica conquistata ai Giochi di Berlino, dieci dalla scomparsa il 16 ottobre del 2006 a L’Aquila.
Era il 1916 quando a Bologna veniva al mondo Ondina unica femmina dopo un poker di maschietti. Fu battezzata Trebisonda, nome che il padre volle darle per l’ammirazione che nutriva nei confronti dell’antica Trapezunte: la città che possedeva tutte le meraviglie, così come avrebbe dovuto averle la figlia. La madre Andreana non gradiva l’idea che la figlia praticasse sport, ma a Ondina piaceva correre e saltare. E lo faceva bene. Così bene che a quattordici anni era già in Nazionale e vinceva il primo dei suoi diciassette titoli italiani.
Era un atleta forte e versatile, da poter gareggiare in sette differenti discipline sportive e ottenere eccellenti risultati nelle gare di velocità, sugli ostacoli e nei salti. Divenne presto la beniamina del pubblico italiano e furono epici i suoi duelli con l’altro mito dell’atletica leggera: la coetanea ed amica Claudia Testoni.
Nell’agosto del 1936, l’atleta bolognese toccò l’apice della sua carriera e conquistò il suo primo record del mondo negli 80 metri ostacoli e, dopo sole 24 ore, il 6 agosto, fu la prima donna azzurra a vincere un oro olimpico della storia italiana. Nel 1937 le verrà riconosciuta una medaglia d’oro al valore sportivo ed un assegno di cinquemila lire. La vittoria olimpica le regalerà anche una foto della regina Elena, firmata semplicemente “Elena”, privilegio di pochi.
Un oro, quello che Ondina Valla ottenne a soli vent’anni, che le portò un’immensa popolarità rendendola un simbolo per tutte le ragazze del Paese e la stampa la definì “Il sole in un sorriso” .
Il fratello Rito, divenuto un noto scultore, celebrò la sua vittoria con la statua l’Ostacolista (1936-1938). L’opera fu collocata davanti alla sede della Gioventù Italiana, poi fu spostata nel cortile di casa, dove fu notata dall’industriale Carpigiani che la acquistò per collocarla davanti alla sua fabbrica. Ancora oggi la statua si trova all’ingresso dell’azienda per simboleggiare lo slancio del progresso verso il futuro.
Per far conoscere meglio l’atleta e la donna, organizzato da Luigi De Lucchi, figlio di Ondina e del medico ortopedico ed ex atleta Guglielmo De Lucchi, insieme al giornalista Stefano Stagni, uno spettacolo ha portato in scena la sua storia in cui si può assaporare il racconto delle sue imprese sportive accompagnato da aneddoti, curiosità e rarissimi filmati insieme alle foto tratte dal prezioso archivio storico della famiglia De Lucchi Valla, che ha anche deciso di aprire ufficialmente il sito web ufficiale e una pagina social dedicato a Ondina e alle sue gesta.
Una ricorrenza così speciale per celebrare l’atleta simbolo dello sport italiano ha avuto come ciliegina sulla torta un momento veramente toccante, lo spettacolo teatrale “Ondina Valla oltre ogni ostacolo”.
Sul palco, a stilizzare la storia, un ostacolo, rappresentativo della sua specialità tecnica, gli 80 metri ad ostacoli. La protagonista si racconta, in un monologo vivace e convincente. I riferimenti sportivi sono l’occasione per comparare quanto fosse difficile, per una ragazza, praticare sport allora, mentre quelli storici, sono uno spaccato della società degli anni Trenta, con l’indice puntato alle leggi razziali ed all’enfatizzazione del ruolo dello sportivo vincente, quale fu Ondina.
La regia e la scrittura originale dell’opera teatrale sono di Lisa Capaccioli, giovanissima e già premiata come artista di confermato talento. L’attrice sul palco è Lorenza Fantoni, che ha dato corpo al personaggio, caratterizzandolo con dinamicità anche fisica, ed un effluvio verbale sempre accattivante. Entrambe le giovani artiste si sono formate alla scuola teatrale di Giorgio Strehler al Piccolo Teatro di Milano.