Nuvolento, comune di 4.027 abitanti della provincia di Brescia.
Centro della zona agricola di Brescia alla destra del fiume Chiese, ad una decina di chilometri dal Lago di Garda, è situato a 176 metri sul livello del mare e comprende una parte collinare delle prealpi meridionali. Ci sono più ipotesi relativamente all’origine del nome. La prima fa derivare il nome dal latino “nubilus”, a indicare un luogo coperto di nubi.
Una seconda ipotesi suggerisce la derivazione dal latino “novus” o “novellus” ad indicare un territorio nuovo, ottenuto da operazioni di bonifica, avvenute ad opera del monachesimo, nei secoli V – IX. Una ulteriore ipotesi fa derivare Nuvolento dal nome dato dai Galli Cenomani nel V e IV secolo a.C.: “new-land” che significa letteralmente nuova terra (e che si può leggere come niùlent) per indicare un nuovo insediamento come luogo di sosta nel loro viaggio per il rifornimento del legname lungo le colline bresciane. Come per i paesi vicini, le origini sembrano risalire ai tempi dei Celti e degli Etruschi, ma maggiori informazioni si hanno al tempo dei Galli Cenomani.
In seguito della vittoria del console romano Cetego del 197 a.C. sui Galli, nel luogo dove ora sorge la Pieve, punto d’incontro di strade che mettevano in comunicazione Roma, attraverso la via Emilia, con le Gallie da una parte e con le regioni del Reno in Germania dall’altra, venne costruito un centro di smistamento e di sosta per il cambio dei cavalli dei corrieri romani. Sul posto sono state ritrovate lapidi, steli, altari e resti di ville che testimoniano l’estensione del villaggio. In tempi successivi, la giurisdizione amministrativa e religiosa è stata esercitata dalla Pieve cristiana, centro politico e commerciale fino al 1500. Attorno a questo nucleo originario sorse un certo numero di abitazioni, tanto che successivamente venne costruita una nuova chiesa, più vicina al nuovo centro abitato. Di tale chiesa, detta Santa Maria della Neve, si parla già in un resoconto della visita pastorale del 1566.
Otricoli, comune umbro di 1.913 abitanti della provincia di Terni.
Il nome della cittadina deriva da Ocriculum, antica città dei bruzii e degli umbri. È un diminutivo di ocris, monte sassoso, usato per designare la parte alta della città, in questo caso la rocca: ocriculum equivale appunto a piccola rocca. Cresciuto grazie all’influenza romana, in epoca antica, era un importante nodo strategico (e lo sarà anche poi: durante la II Guerra Mondiale, il teatro Otricolano fu punto geografico di un’importante battaglia nel 1943), dedicato sia agli scambi commerciali, sia ai rifornimenti ed al ristoro, sia allo scambio di comunicazioni tramite messaggi postali.
Negli ultimi due decenni del ‘700 iniziarono gli scavi archeologici che portarono alla luce numerosi e importanti reperti, il più importante dei quali è il Giove di Otricoli. Nei due Antiquarum si possono poi ammirare vasi, once, calchi di divinità. Tra le altre cose per cui il posto è gettonato c’è l’Infiorata del Corpus Domini (circa 40 giorni dopo Pasqua), la rassegna teatrale collegata all’evento, la sagra dei prodotti tipici, e la festa del patrono San Vittore.
Massima manifestazione religiosa e folkloristica, si festeggia dal 14 maggio 1669 quando una processione portava per le vie del paese un frammento della testa del Santo, racchiuso nel reliquario offerto dal Comune che per l’occasione offriva un pasto a fuoco, cioè a famiglia. Si svolgeva poi una corsa di cavalli barberi o saraceni per la quale la magistratura offriva il Palio. L’usanza durò fino alla meta del 1700 quando fu sospesa dal vescovo di Narni.
Nel 1764 fu riunito un consiglio popolare costituito dall’Arciprete, dai Canonici e dai Capifamiglia per fissare i Capitoli che dovevano regolare la festa. Si doveva fare la questua del grano e del mosto. Si doveva eleggere un Sopraintendente in grado di sostenere la spesa per la musica. Mediante un bussolo fra tutti i benestanti si doveva poi eleggere l’Alfiere della festa, su cui doveva gravare la spesa di offrire la refe-zione e qualche bacile di ciambelle il martedì di Pasqua nella Chiesa rurale di S. Vittore.
Padula, comune campano di 5.558 abitanti della provincia di Salerno.
Situata nel Vallo di Diano, dista 100 km da Salerno e 65 km da Potenza. Il nome di Padula, Parùla in dialetto, deriva dal latino medievale Paludem, cioè palude visto che in passato nella pianura sottostante si stendeva una palude. Ritrovamenti fanno stimare che i primi insediamenti risalgano al XII secolo a.C.: è di questo periodo la fondazione della città di Cosilinum, l’antica Padula. Ma è solo nel VI secolo a.C. che si iniziò a popolare la zona: in località Valle Pupina sono stati ritrovati corredi tombali, formati da vasellame in bronzo e ceramiche di stampo greco, ora esposti nel museo archeologico. Occupata dai Lucani prima, dai Romani poi, la città non ebbe vita facile: schieratasi con Pirro e con Annibale, subì le ripercussioni di queste infelici scelte.
Riuscì a risollevarsi grazie all’impulso ricevuto dalla Regio-Capuam (la via Popilia-Annia, che insieme alla via Appia e alla via Traiana, fungeva da rete stradale per tutto il Sud Italia) che la collegava alle più centrali Paestum e Velia, tanto che nell’89 a.C. diventa Municipio Romano. Agli inizi del X secolo fu abbandonata dopo le scorrerie saracene. L’arrivo dei Normanni portò a una inevitabile militarizzazione della zona mentre i Monaci basiliani furono allontanati: il monastero che per secoli era stato il centro politico si trova a doversi rapportare al feudatario di turno.
Fino al XVIII, Padula passò di signore in signore, donata o venduta. In epoca angioina si iniziò a costruire la Certosa di San Lorenzo, il complesso che oggi domina la città e che durante i moti risorgimentali del 1820 e del 1857, fu teatro del massacro dei “300 giovani e forti” al seguito di Carlo Pisacane. Sorte analoga per disertori e prigionieri di un secolo dopo: fu campo di concentramento tra il 1915 e il 1921, e poi campo di lavoro inglese tra il 1943 e il 1945. Tra i cittadini originari di Padula: Giuseppe “Joe” Petrosino, investigatore di New York, e Francesco “Frank” Valente, fisico, candidato al Nobel e parte del team che contribuì alla creazione dell’atomica.