Capita che i grandi campioni dello sport finiscano sul lastrico, senza un soldo in tasca. Il brasiliano Ghiggia, ad esempio, re del calcio degli anni Sessanta, fu costretto, dopo aver guadagnato in carriera come un nababbo, a chiedere un lavoro in un garage. Gascoigne, che nel Regno Unito, da giocatore, aveva riempito forzieri di sterline, per noia o chissà cos’altro, è diventato alcolizzato, mettendo persino a rischio la sua sopravvivenza.
 
La notizia della morte di Emile Griffith, pugile originario delle Isole Vergini, ma newyorchese d’adozione, è entrata nelle case degli italiani in questo scorcio torrido d’estate, riportando indietro con la memoria, riaprendo l’album dei ricordi. Griffith, malato di Alzheimer, viveva ormai di stenti, avendo già oltrepassato da anni la soglia minima di povertà. Si era ritirato dall’attività, lui campione dei pesi medi, nel ’77, dopo aver incrociato per tre volte, nel corso della sua carriera, Nino Benvenuti, il pugile triestino, classe ’38, campione olimpico ai Giochi di Roma.
  Emile Griffith con Nino Benvenuti

  Emile Griffith con Nino Benvenuti

 
Bene, l’incrocio tra Benvenuti e Griffith è storia bella, romantica, semplicemente da raccontare. Nel ’67, contro tutti i pronostici, Nino sconfisse il rivale al termine di un match stilisticamente perfetto. Perse poi la rivincita, salvo prendersi, nel ’68, la corona mondiale dei medi, dopo una “bella” rovente, con pugni rifilati e incassati. Nessuno, tra Nino ed Emile, andò mai al tappeto, restando sempre in piedi, con la guardia alta.
 
Tre match da quindici round: duri, sofferti, spietati. Fate un po’ di conti: la sfida tra Benvenuti e Griffith si dilatò per quarantacinque, lunghissime riprese. Benvenuti festeggiò per pochi mesi, peraltro, essendosi già stagliata all’orizzonte la sagoma del killer delle Pampas, Carlos Monzon, picchiatore su ring e nella vita. L’argentino morì a poco più di cinquant’anni, dopo aver cozzato contro un muro guidando all’impazzata e dopo aver scontato undici anni di galera per aver strangolato l’ex-moglie. Storie di boxe, che si mischiano a storie di vita.
 
Benvenuti e Griffith, parlandosi al telefono, scrivendosi e, talvolta, anche incontrandosi cimentarono, anche da ex-pugili, la loro amicizia. I loro tre incontri sono destinati a restare nella storia del pugilato mondiale. E pure della Tv e radio di Stato: nel ’67, ad esempio, il primo match venne raccontato da Paolo Valenti, il giornalista toscano che poi bucò il video con il conosciutissimo programma “Tutto il calcio minuto per minuto”.
 
Griffith si ammalò, abbandonato pure dalla sua famiglia, e Nino, dall’Italia, in un romantico afflato verso la vita e verso i ricordi, gli tese una mano. Impedendo coi fatti che l’amico-avversario di un tempo cadesse oltremodo in povertà. Griffith era omosessuale: un giorno, sul ring, uccise a pugni un pugile coreano che, prima del match, lo aveva dileggiato, prendendo a spunto la sua inclinazione. Benvenuti gli fu al fianco, in un mondo – quello della boxe – che, a stento, anche oggi, fa fatica ad accettare la “diversità”. Ecco perché la fine di Emile, adesso, ha squarciato il passato.
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