Niccolò Fabi con “Una somma di piccole cose” si è aggiudicato la Targa Tenco per il miglior album dell’anno, ripetendo a distanza di tre anni la precedente vittoria ottenuta con “Ecco”. Come consuetudine la consegna dei premi è stata organizzata dalla direzione del Premio nello storico Teatro Ariston di Sanremo.
Gli autori di riferimento del nuovo lavoro di Niccolò Fabi sono gli statunitensi Bon Iver, e Sufjan Stevens, oltre a Bob Dylan e James Taylor. Il legame del cantautore romano con gli Stati Uniti, California in particolare, è molto forte, da quando suo fratello e sua sorella hanno scelto di trasferirsi e vivere a Los Angeles.
“Una somma di piccole cose”, l’ottavo album della sua carriera (senza considerare quello con Max Gazzè e Daniele Silvestri), è un punto di arrivo da cui ripartire, un lavoro libero da rigidi vincoli commerciali in favore di una creatività più vissuta e personale. Il disco è stato scritto, suonato e registrato in poche settimane nel casolare di campagna del cantautore, situato nella Valle di Baccano, vicino a Roma.
Tra i nove brani della track list, “Le cose non si mettono bene” ha un peso particolare, si tratta della cover del brano già inciso dal gruppo laziale Hellosocrate, che ha interrotto l’attività in seguito alla prematura scomparsa del front-man Alessandro Dimito. Le canzoni di Fabi si ispirano all’indie-folk americano, il genere musicale influenzato dal folk degli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta e dalla musica country. Gli arrangiamenti, molto vicini a un’essenzialità quasi grezza, evidenziano una sottrazione musicale a vantaggio della comprensione delle parole e del loro significato.
“Una somma di piccole cose” è anche il titolo del brano che apre il disco, suonato integralmente da Fabi. Il pezzo è un eccellente esercizio acustico di chitarra e pianoforte, strumenti ideali per accompagnare rimpianti e considerazioni esistenziali, sui momenti perduti che inevitabilmente non ritorneranno più: “Una somma di passi, che arrivano a cento, di scelte sbagliate, che ho capito col tempo, ogni volta ho buttato ogni centimetro in più come ogni minuto che abbiamo sprecato e non ritornerà”.
“Ho perso la città” misura la distanza dal luogo ameno in cui è nato questo album, con le “corsie preferenziali”, le subway e le squallide periferie delle grandi città. Una serie di immagini che fotografano la confusione, la perdita dell’identità e del sogno, concetti metaforicamente sintetizzati in una frase del brano: “Hanno vinto i ristoranti giapponesi che poi sono cinesi, anche se il cibo è giapponese”.
Il video ufficiale della canzone è stato realizzato da Roberto Biadi, creativo torinese, che ha raccontato una qualunque giornata di una città qualsiasi, con scene a velocità accelerata. Il filmato mette in risalto il ritmo forsennato della metropoli contrapposto ad alcuni oggetti che sembrano fermare il tempo e creare un proprio mondo: una bicicletta, un ombrello e una penna. Bello il finale sublimato dall’incedere del coro, che accompagna un writer intento a disegnare un panorama con tanto verde, cielo azzurro e qualche nuvoletta.
“Filosofia agricola” auspica il ritorno alla terra a quella che appare come la più sostenibile dimensione dell’uomo. Le parole scorrono leggere sul desiderio di libertà e utopie ma non manca la consapevolezza di quanto sia difficile cambiare il modello di vita che ci siamo costruiti: “Se avessi meno nostalgia saprei conoscere, godermi e crescere, invece assisto immobile al mio nascondermi e scivolare via da qui”.
La volontà del cantautore romano di raccontare tematiche ambientaliste si era già manifestata con la realizzazione, insieme al geologo Mario Tozzi, dello spettacolo “Musica sostenibile”. Il progetto nacque nel 2015 in occasione del ricordo della tragedia di Val di Stava del 1985, quando i bacini di decantazione della miniera di Prestavel ruppero gli argini scaricando 180.000 metricubi di fango sull’abitato di Stava, piccola frazione del comune trentino di Tesero.
“Una mano sugli occhi” e “Le chiavi di casa” parlano d’amore, di ragazzi con la mano nella mano, del loro osservarsi quasi di nascosto, come in un gioco. “Le chiavi di casa” si sviluppa per immagini, una tecnica di scrittura cinematografica utilizzata anche in altre canzoni del disco, una serie di fotogrammi che sintetizzano stati d’animo e pensieri: “tu prenditi i tuoi rischi, tanto amandosi raddoppiano per forza, le ragioni, per cui possono ferirti, stai attento alle correnti e non scordarti le chiavi di casa”.
In “Facciamo finta”, un padre racconta il mondo dei suoi sogni con le parole di un bambino, in una sorta di favola: “Facciamo finta che io sono un Re, che questa è una spada e tu sei un soldato. Facciamo finta che io mi addormento e quando mi sveglio è tutto passato. Facciamo finta che io mi nascondo e tu mi vieni a cercare e anche se non mi trovi tu non ti arrendi perché magari è soltanto che mi hai cercato nel posto sbagliato”.
“Una somma di piccole cose” ha vinto la più ambita delle Targhe Tenco con merito; c’erano anche altri lavori degni di questo riconoscimento ma indubbiamente si tratta di una delle produzioni più coraggiose degli ultimi tempi. Niccolò Fabi ha realizzato il disco con cura artigianale, prestando attenzione sia ai contenuni sia alla musicalità dei testi.