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Viva il vino spumeggiante / nel bicchiere scintillante / come il riso dell’amante / mite infonde il giubilo! Viva il vino ch’è sincero / che ci allieta ogni pensiero / e che annega l’umor nero / nell’ebbrezza tenera.

Turiddu canta quest’aria tratta dalla Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni che fu ispirata da una novella di Giovanni Verga. Insomma, tutta siciliana questa opera melodrammatica che inevitabilmente vede come contorno della vita contadina il prezioso succo fermentato di uva: il vino. E la Sicilia vanta tra i vini più antichi in assoluto e sono il passito di Pantelleria, isola del Mediterraneo in provincia di Trapani, ricavato dallo zibibbo, varietà di uva dai chicchi rotondi e dolcissimi e la Malvasia prodotta nelle Isole Eolie in provincia di Messina. E’ probabile che Omero  faccia riferimento ai vini dell’Etna quando nell’Odissea fa dire al Ciclope Polifemo che avrebbe ucciso per ultimo Ulisse poiché aveva apprezzato la bevanda di colore rosso a lui sconosciuta, cioè il vino.  

La Sicilia, dunque, da millenni ha prodotto vino e non poteva quindi mancare un Museo del vino e della civiltà contadina. E questo museo si trova a Palermo ospite delle antiche cantine del principesco Palazzo Palagonia di via del Quattro Aprile, datato alla fine del 1400 vicino al Palazzo Steri, al Palazzo Abatellis dove ha sede il Museo regionale interdisciplinare e a due passi da Piazza Marina famosa anche per la presenza di alberi di Ficus magnolioides dalle dimensioni gigantesche. Il museo nasce da una associazione, Enoclan, fondata nel 1980 e presieduta da Guido Ferla, enogastronomo e sommelier professionista dal 1994.  I locali di proprietà del Comune di Palermo, sono stati ottimamente restaurati, ci dice il presidente dell’associazione, in quanto tutto il palazzo aveva subito notevolissimi danni a causa dei bombardamenti della seconda guerra mondiale a cui si aggiunse il colpo di grazia del terremoto del 1968.

Il Museo è alloggiato tra i bellissimi muri pluricentenari in pietra di quelle che furono le scuderie del palazzo.   Come nasce l’idea di un Museo del Vino? Lo abbiamo chiesto a Guido Ferla il quale ci ha risposto che l’idea primaria era quella di realizzare una mostra permanente di vini siciliani che è seguita all’esperienza dell’associazione culturale eno-gastronomica per divulgare i vini locali. Nel 1983 l’associazione ha portato i vini della propria collezione in degustazione riscuotendo successo anche in Toscana, considerata autorevole rappresentante dell’enologia italiana.

Cosa si può ammirare nel Museo? Collezioni, tutte di proprietà del presidente, di 3000 bottiglie di vino esposte tra cui alcune risalenti al 1800 e tra queste un Marsala Woodhouse e datate 1815 e 1835, un Moscato di Montelepre e un esemplare di fine ‘800 dei Principi Ganci; più di 2000 etichette catalogate per ordine alfabetico, per regione, provincia, città e produttore; etichette internazionali, straniere, catalogate per nazione; cartoline, poster, capsule e perfino una moneta da 5 lire con inciso da un lato un grappolo d’uva; e poi ancora cavatappi, bicchieri, attrezzi vari per l’imbottigliamento e un pezzo raro chiamato “palummedda” di terracotta che serviva alla fuoriuscita dei gas di fermentazione evitando contemporaneamente l’ingresso di insetti. Questo, tra l’altro, era un oggetto per i nobili perché i contadini, i poveri, usavano per raggiungere lo stesso scopo, un intreccio di spine. Non mancano tutti gli attrezzi in uso presso il mondo rurale per lavorare la terra e i vigneti e le botti per fare fermentare il prezioso liquido che oggi, e finalmente, ha il giusto riconoscimento nei mercati nazionale e internazionali. Una biblioteca è in via di catalogazione dei volumi e della rassegna stampa che in questi anni ha registrato l’attività dell’associazione e del Museo.  

Mantenendo rigorosamente il gusto e la vocazione per il passato, il museo ha più volte ospitato manifestazioni culturali e riconoscendo in sé una “sana follia” da collezionismo, il suo direttore Ferla ha ospitato altre collezioni che in comune con il vino e la società contadina hanno poco da dividere se non il ricordo, la memoria di un tempo passato o più o meno recente ma che può sembrare ormai quasi obsoleto se non si considera il suo alto valore storico.  L’ultima mostra di collezioni dal titolo, neanche a dirlo, “Collezionando” ha visto protagonisti altri due palermitani che, ormai pensionati dai loro rispettivi lavori, allestiscono mostre delle loro collezioni (e sono molte e variegate) e pubblicano libri sulle loro raccolte.  

Sono Franco D’Attardi e Gesualdo, Aldo per gli amici, Adelfio che, ci dicono, hanno trovato uno scopo in più per arricchire la loro vita l’indomani del pensionamento. D’Attardi inizia a dare corso a questa passione già nel 1985 raccogliendo (agli inizi tutti i collezionisti raccolgono poi si perfezionano) penne stilografiche d’epoca. La più antica – ci racconta –  fu costruita da Watermann, assicuratore che mancò al contratto che avrebbe cambiato la sua vita a causa di una macchia d’inchiostro sul foglio dove il suo cliente avrebbe dovuto apporre la firma ma non lo fece vedendo come un segno nefasto del destino quella macchia. Questo fece la fortuna di Watermann che recuperando i pezzi di quella penna, inventò la stilografica che contenesse due sole gocce di inchiostro, proprio quelle che bastavano per apporre una firma.  Ma nella mostra portata a “Collezionando” è stata la latta a fare da protagonista. Giocattoli, macchinine, scatole tra cui una chicca: quella di “pagine gialle” (elenco telefonico per categorie commerciali e professionali che veniva distribuito insieme all’elenco dei numeri telefonici degli abbonati), che conteneva un mazzo di carte francesi e veniva omaggiato agli abbonati; contenitori di biscotti e, altra chicca, scatola che conteneva la cassata siciliana. 

Un mondo tutto fatto di latta che ha veramente il sapore dei nostri primi giochi ma che affascina anche chi di anni ne ha davvero pochi come quel bambino, ci racconta sempre D’Attardi, che recatosi a Londra alcuni giorni dopo avere visitato la mostra, ritorna per regalare al  collezionista una automobilina ovviamente di latta, acquistata in un mercatino dell’antiquariato nella capitale inglese.  

Aldo Adelfio, tra i tre, è forse il più teorico, quello, cioè, che vuole andare più a fondo nella sua ricerca. Spera di trovare in ogni oggetto la sua storia da raccontare a chi non l’ha potuta vivere prima che diventasse memoria. In questa manifestazione ha esposto incarti per agrumi, veline moltissime delle quali di pregevole fattura e provenienti da varie parti della Sicilia, e non solo, ma che hanno fatto la storia del trasporto di alcuni dei prodotti tipicamente siciliani, quali arance, mandarini, limoni. Cosa spinge una persona al collezionismo? Le loro risposte sono state simili: cominci a raccogliere perché da bambino desideravi qualcosa che non hai potuto avere oppure perché vuoi riprodurre una sorta di piacere che ti derivava dall’avere cose di tuo gradimento.  

Il sogno di Adelfio e D’Attardi – Guido Ferla lo ha già realizzato – è quello di potere trovare un luogo dove esporre, catalogate, tutte le loro collezioni perché il loro desiderio è quello di potere raccontare la storia attraverso anche le piccole cose, attraverso gli oggetti che magari molti non usano più ma che sono parte della vita di chi li ha preceduti, sono la storia delle famiglie, la storia, infine, della nostra cultura. Sono la nostra memoria senza la quale il presente non esisterebbe e senza la quale non si può progettare alcun futuro. A testimoniare la validità della memoria attraverso i musei, le collezioni, le frasi di ringraziamento che i visitatori delle mostre lasciano a ricordo sul libro delle testimonianze e che sono da stimolo a continuare per questa strada, a continuare ad essere i custodi del nostro passato.


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