“La materia frammentata, polverizzata, dissolta, poi catturata e racchiusa in nuove forme in divenire: Polvere di Vita. Il Mosaico come metafora di Vita”, queste sono le parole introduttive della personale “Polvere di Musaico” dell’artista Silvia Colizzi, in programma nella quarta edizione del Festival Internazionale del Mosaico Contemporaneo a Ravenna.
 
Silvia Colizzi, insegna da oltre 20 anni presso l’Istituto d’Arte per il Mosaico “Gino Severini” di Ravenna, ora “Liceo Artistico Nervi-Severini”, dove contribuisce allo sviluppo delle individualità degli studenti, secondo una visione globale, olistica, rimandando al mosaico come totalità formata da frammenti. Preferisce però chiamarlo “Musaico”, con un diretto riferimento etimologico alle muse. Con la sua opera, cerca la via del ritorno alla fonte originaria del mosaico, perché lo ritiene metafora di vita, di quella vita intrisa di semplicità, spontaneità e amore, della quale mai più di oggi si avverte il bisogno. 
 
I “Mosaici in movimento di Silvia Colizzi” sono stati protagonisti a Praga, nel 2014, nel progetto “Musa-ico: from the Interior Mosaic to the Social One” (Dal Mosaico Interiore al Mosaico Sociale) in collaborazione con la mosaicista Magdalena Kracik Storkanova. Il laboratorio ha prodotto “Women Sound”, opera realizzata dalle partecipanti al progetto. Tra i tanti incontri internazionali segnaliamo quello con la mosaicista Lillian Sizemore, di San Francisco, interessata alla vita e alle opere di Gino Severini, colui che è considerato il padre del mosaico moderno. 
 
I suoi mosaici, o per meglio dire i suoi Musaici, esprimono arte, corpo, anima.
I miei Musaici, così amo chiamare i miei lavori, sono impasti materici dai quali s’intravede la struttura interna del lavoro stesso, ora fili di ferro o di legno o vetro, che affiorano nudi e crudi dalla malta. La malta diviene la protagonista, la vera e propria anima del mosaico, capace di riunire in nuove forme così tanta frammentarietà. 
Dal legante affiorano tessere musive compatte o sgretolate, fino a diventare vera e propria polvere: eterei granelli di polvere di stelle come ancestrali Dna, distillati e pronti a rinascere al suono di ritmi e andamenti esistenziali oggi dimenticati e schiacciati da fugaci patine superficiali. Tessere musive, per quanto vicine o distanti, coese tra loro seppur così diverse le une dalle altre, allo scopo di creare insieme un’opera unitaria.
 
Il mosaico come metafora di vita personale e collettiva?
Il Mosaico vera e propria metafora di vita, l’espressione tangente del riunire insieme idee, emozioni, persone, per ricercare e creare nuove armonie, sia personali sia collettive, e condividerle nel percorso di vita che ci accomuna. Percezione e ricerca artistico-psicopedagogica, coniugata dalla mia stessa esistenza di donna, madre, educatrice, insegnante…
La natura e l’esperienza esistenziale sono le mie vere e proprie maestre di vita, una vita afferrata nelle sue svariate sfaccettature a ricomporre il mio, il nostro, mosaico interiore per poi farlo interagire con quello sociale. 
 
“Polvere di Musaico” è anche performance, un’originale simbiosi tra materia e spettacolo.
L’opera più significativa, tra quelle esposte, per me è stata l’estemporanea del “Mosaico Vivente” che in quel contesto si è riunito: amici, colleghi, alunni, familiari e altri ancora, hanno preso parte alla performance “dell’inaugurazione” muovendosi fra le scenografie tratte dalla “Polvere di Musaico”. 
Grande convivialità, sotto lo sguardo di Impasti di Polvere di Musaico, con le gustose ricette, associate ai miei lavori, ideate e preparate dallo chef Marco Banzola, con la musica di Luca Bombardi e la voce di Annagloria. Con i passi di danza delle ginnaste di ritmica della Compagnia dell’Edera, con le mie Poetiche Musive, mosaici di parole scaturite tra cementi e sassi dai quali fanno capolino piante di verde edera, che avvinghiano la pietra ora grezza ora lavorata, e tagliata dalla martellina, come in “Anno Domini”, quadratura del cerchio della vita. 
La mia ricerca-azione musiva è ben rappresentata da quanto detto dal professor Marcello Landi all’inaugurazione: “Silvia Colizzi indaga il mosaico come se fosse un linguaggio, lo sta smembrando in tanti piccoli pezzi, come se fosse una lingua e cerca quella che è una sintassi originaria del mosaico”.
 
Mosaico contemporaneo o tradizionale?
Oggi il mosaico contemporaneo si affianca a quello tradizionale, lo restaura, lo replica, lo reinterpreta, lo rende virtuale riassorbito da inafferrabili pixel presto dissolti nell’etere. 
Il mosaico diventa design, hobby e allo stesso tempo si contamina con la tarsia o il collage, s’impossessa, anche riciclandoli, dei più svariati materiali, perdendo sempre più la propria identità. 
Molti mosaicisti oggi imitano la realtà con un assiduo ricomporre con tessere, foto o oggetti, pareti o pavimenti. Usano la tecnica musiva integrata ad altre e allora nascono storie quasi a fumetti, altre volte sono tessere appese a fili o reti, oppure sono disseminate liberamente nello spazio senza più un legante a tenerle unite tra di loro, fino a sparire, lasciando solo la loro impronta: non è forse tutto ciò il sintomo della nostra contemporaneità? 
Uno spazio meraviglioso nel quale tutti si possono muovere ed esprimere, ma spesso anche uno spazio frenetico e meramente di superficie, forse solo tatuaggi sulla pelle del mosaico alla disperata ricerca della propria identità. 
Io, fin dai tempi  degli studi all’Accademia di Belle Arti di Ravenna, nella tesi che s’intitolava “L’Altra Via dell’Arte Musiva – matericità a confronto”, ho sentito la necessità di andare sotto quella pelle, ormai coriacea e impermeabilizzata, che non lascia alcuna possibilità di traspirare, che nega la benefica osmosi tra lo spirito dentro di noi e quello universale fuori di noi. Per questo nelle mie creazioni ho la necessità di far emergere la struttura interna, lo scheletro, la muscolatura, la linfa vitale, l’anima del mosaico, quella forza coesiva che unisce le parti nel tutto “forte di ogni forza l’Amore”, simboleggiata dal legante.  
 
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