Tra le 9,28 e le ore 13 del 15 febbraio 1944, 239 bombardieri angloamericani, decollati dagli aeroporti di Foggia e Napoli, sganciarono 453 tonnellate e mezza di bombe sull’Abbazia di Montecassino, radendo al suolo l’antico monastero fondato da San Benedetto da Norcia nell’anno 529.

In un millennio e mezzo l’abbazia di Montecassino è stata distrutta ben quattro volte, tre per mano degli uomini ed una per cause naturali. La prima distruzione avvenne tra gli anni 577 e 589 ad opera dei Longobardi; la seconda distruzione nell’883 ad opera dei Saraceni; la terza distruzione nel 1349 a causa di un terremoto. La quarta tra il 15 e il 18 febbraio del 1944 che in tre ore la ridusse ad un ammasso di rovine.

Il monastero, poi, fu preso il 18 maggio dai soldati polacchi, dopo molti mesi di violento conflitto e una perdita immensa di vite umane. “Si è trattato di un vero e proprio crimine di guerra – sottolinea Pino Pelloni – e una tragedia per la popolazione civile costretta ad un esodo pieno di sofferenze. Nel bombardamento persero la vita molti civili che proprio nel luogo di culto avevano cercato riparo sperando che fosse un luogo sicuro. L’abate Diamare ed i monaci sopravvissuti fuggirono poi a Roma per salvarsi. Non furono trovati soldati tedeschi tra i caduti per il bombardamento.” Distrutto il monastero, le forze alleate presero la via per Roma dove giunsero, da liberatori, il 4 giugno.

Il bombardamento dell’Abbazia di Montecassino, giustamente classificato dagli storici come crimine di guerra, è stato anche il peggior atto sacrilego verso la Cristianità del XX secolo soprattutto se si vanno a rileggere le parole espresse, dopo molti anni, dal Generale Alexander a giustificazione di tale atto: “Il bombardamento dell’Abbazia di Montecassino era necessario più per l’effetto che avrebbe avuto sul morale degli attaccanti che per ragioni puramente materiali. Quando i soldati combattono per una causa giusta e sono pronti ad esporsi alla morte ed alle mutilazioni in questa lotta, mattoni e calce, per venerabili che siano, non possono prevalere sulle vite umane. Nel contesto generale della battaglia di Cassino come si poteva lasciare intatta una struttura che dominava il campo di battaglia”.

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