Il castello di Miramare a Trieste (Ph© Mihairomeob | Dreamstime.com) è circondato da 22 ettari di parco e ospita un museo storico

Il Castello di Miramare è un prezioso tesoro d’architettura situato sulla punta del promontorio di Grignano. Una posizione magnifica per apprezzare il panorama del golfo. Voluto nel 1855 dall’arciduca Massimiliano d’Asburgo per sé e sua moglie Carlotta, fu progettato dall’architetto austriaco Carl Junker. Immerso in un enorme parco ricco di specie arboree, questa splendida dimora principesca in pietra bianca d’Istria, anche dopo la tragica morte di Massimiliano in Messico, dov’era andato imperatore, ospitò più volte il fratello, re Francesco Giuseppe con sua moglie Sissi, nelle numerose visite a Trieste, importante città portuale del Mediterraneo e sbocco al mare per il Regno d’Austria e Ungheria. Ammaliante la visita a Miramare. Oltre la bellezza architettonica, vi si ammirano la ricchezza degli arredi, dei dipinti e degli arazzi, la raffinatezza delle suppellettili, in un contesto che fa sognare.

Riprendiamo la via per Trieste, l’antica Tergeste di probabile origine illirica, poi colonizzata dai Romani, della quale parla Giulio Cesare nel De bello gallico. Bella la vista sul lungomare. Poi sfarzosi palazzi fanno da quinta verso Piazza dell’Unità d’Italia. E’ il salotto della splendida città adriatica, una delle più grandi piazze aperte sul mare. Contornata su tre lati da stupendi edifici, schiera da sinistra il magnificente Palazzo della Luogotenenza austriaca, il Palazzo Stratti, al centro il Palazzo Modello dov’è il municipio, l’antico Palazzo Pitteri, a destra il Palazzo Venoli e il Palazzo del Lloyd Triestino, ora sede del Governo regionale. Al centro della piazza la settecentesca Fontana dei Quattro Continenti con le sue allegorie. Di fronte alla piazza, allungato sul mare, il Molo Audace, così chiamato quando la prima nave italiana – l’Audace, appunto – dopo la fine della Grande Guerra entrò nel porto di Trieste, tornata finalmente italiana.
Gustate le bellezze del centro storico, crogiolo di culture con segni di nobiltà civica, ci infiliamo nel dedalo di vie che arrancano sulle le colline disposte ad anfiteatro attorno alla composizione urbana.

Ricordiamo la Risiera di San Sabba, lager di sterminio nazista in terra italiana, e la Foiba di Basovizza, luogo di martirio d’italiani sotto il regime di Tito, mentre si va al Santuario di Monte Grisa. Erto a 330 metri sul mare, sul punto più alto dei colli che coronano la città, mostra una vista sul golfo davvero mozzafiato. Il santuario è un’imponente costruzione in cemento armato a struttura triangolare. Progettato dall’architetto Antonio Guacci, dopo la fine della Seconda Guerra fu voluto dall’arcivescovo Antonio Santin per onorare un voto, promesso per proteggere la città dai bombardamenti. Dedicato a Maria Madre e Regina, fu completato nel 1965 e nel ‘92 visitato da Giovanni Paolo II.

Riprendiamo il viaggio verso Gorizia, tra campi conquistati tra le rocce e il vento, dove ordinati vigneti donano nettare per i sapidi vini del Carso: terrano, refosco, verduzzo, vitovska e malvasia. Una sosta a Redipuglia. Il Sacrario militare è immenso. Un’interminabile scalea disegna la saliente prospettiva fino al culmine, dove svettano tre grandi croci. Il motto “presente”, ripetuto all’infinito, campeggia sui frontoni dei gradoni in pietra lungo la scalinata monumentale, confinata tra due filari di cipressi. Sulla sommità dominano le tre croci, come su un doloroso monte Calvario. “Presente” è scolpito per ricordare ogni caduto di quell’enorme Memoriale, un cimitero per 100mila soldati italiani, parte degli oltre 600mila caduti nella Grande Guerra. Sono riportati in rigoroso ordine alfabetico, a ciascuno la sua lastra di bronzo. 35mila sono conosciuti con i loro nomi, 65mila sono militi ignoti.

Qui nei dintorni combatté la sua guerra anche Giuseppe Ungaretti, lasciandoci struggenti liriche di sofferenza e di dolore. Nei pressi scorre l’Isonzo, il fiume che fu rosso del sangue dei soldati morti in battaglia, poco distante da Caporetto, laddove il 24 ottobre 1917 il fronte cedette all’assalto dell’esercito austriaco, nella “rotta” diventata la più grave disfatta per l’esercito italiano, della quale parlò anche Ernest Hemingway nel suo celebre romanzo Addio alle armi. Ne seguì la dolorosa ritirata oltre il Piave, dove si preparò la riscossa per la vittoria finale a Vittorio Veneto, il 4 novembre 1918, immortalata nel famoso proclama del generale Diaz. Proprio in questi luoghi del Carso operò la Terza Armata del gen. Emanuele Filiberto di Savoia Duca d’Aosta, onorato con il grande parallelepipedo di marmo verde ai piedi della scalinata. Visitiamo pure i resti delle trincee, lì accanto, e il vicino museo, dove armi, divise militari, attrezzi vari ed equipaggiamenti raccontano la terribile vita in trincea.

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