Per raggiungere la Triennale di Milano, noto museo di design, dovrete percorrere un pezzo di strada in parco Sempione oppure su una piacevole via ombreggiata da alberi. Non si può negare che avvicinandosi a questo tempio milanese delle tendenze artistiche, sembra di uscire dalla città e arrivare in un’oasi di pace.
Geograficamente non è così: siete in pieno centro a Milano.
Le esposizioni qui organizzate sono sempre molto attuali e in parte gratuite. Si è appena conclusa una mostra intitolata “Atlas” che esponeva i dipinti di un pittore moderno: Marco Petrus, classe 1960. La peculiarità di questo artista, oltre al suo tratto estremamente pulito, geometrico, iperrealista, è il fatto che non presenta un insieme di lavori preconfezionati che potrebbero essere esposti in qualunque parte del mondo, in qualunque città.
Marco Petrus studia il contesto urbano in cui viene organizzata la sua esposizione e sceglie tele che siano coerenti con la città ospitante, quasi ad omaggiarla. Questo implica il fatto che una sua mostra non sia mai uguale alla precedente ed alla successiva. Avrete avuto modo di vedere delle sue esposizioni in città come Santa Fe, New York, Londra, Roma, Mosca.
Il pittore si dedica alla rappresentazione su tela di edifici o comunque elementi architettonici realmente esistenti. Il suo tratto così pulito vi darà l’impressione, in un primo momento, di essere di fronte ad una pagina pubblicitaria o alla grafica stilizzata e quasi geometrica degli anni settanta. Marco Petrus è invece ben inserito sia in questa epoca che nel contesto urbano in cui espone.
La mostra a Milano comprendeva dei dipinti che la rappresentavano. Questa forma di contestualizzazione dell’evento in base alla location ha una forte connotazione di contemporaneità accorciando la distanza tra il pubblico fruitore e l’artista.
Nella mostra a lui dedicata si rimane colpiti dalla forza e dalla vibrazione che i colori dei suoi quadri trasmettono. Nell’osservatore, che si avvicina per la prima volta a questo autore, cresce lo stupore della precisione del tratto e dell’efficacia descrittiva nonostante la sintesi. La sala che ha ospitato la mostra era un ampio spazio bianco e illuminato dalla luce naturale: questo ha permesso di evidenziare i colori accesi delle tele. La seconda sensazione è quella di essere di fronte a qualcosa di familiare.
Ciò si razionalizza focalizzando la scelta delle strutture urbane rappresentate. Sulla parete sud spiccava una grossa tela con un agglomerato di palazzi. La rappresentazione non lasciava nulla al dubbio: la classica forma della torre Velasca che si trova in pieno centro a Milano. Alla sua sinistra, in basso, un’altra tela rappresentava la Camera del Lavoro. L’artista è particolarmente affezionato alla città di Milano: qui abita e qui ha iniziato tutto il suo percorso artistico.
Come è la sua città ideale?
Non è una in particolare, ma l’insieme di alcuni aspetti di tutte. Non esistendo questa realtà, l’artista fa sì che possa vivere sulle sue tele.
Con attenta osservazione Marco Petrus riporta i tratti che più gli servono per descrivere il suo spazio urbano ideale e questo si staglia sempre su cieli piatti e monocromatici, come se fossimo in una limpida giornata di sole invernale, dove la foschia non deforma all’occhio i contorni degli elementi.
Perché Atlas è il nome della mostra appena conclusa? Per richiamare alla continua ricerca geografica simbolica con cui l’artista caratterizza il suo lavoro. Alla base del suo realismo vi è una costruzione geometrica delle forme che non offusca il significato semiotico di ciò che è dipinto: la Camera del Lavoro sulla tela sarà sempre quel familiare edificio che incontriamo fuori dal tribunale di Milano e non l’insieme di rettangoli usati per riprodurla. L’occhio, a causa della familiarità del soggetto rappresentato, scavalca le forme che lo costituiscono arrivando dritto al suo significato.
Dietro alla precisione della rappresentazione vi è la consapevolezza della vita, caotica o meno di un insieme urbano che ogni giorno rivendica la sua identità e accetta, per un solo istante, di essere fermato su una tela e poi rientrare in un processo di movimento che renderà la realtà della città differente da quella che era, da quella sulla tela e da quella che conosciamo.