“Michelangelo: l’effigie in bronzo di Daniele da Volterra”, edito da Mandragora, riunisce i risultati della giornata di studi, tenutasi il 21 febbraio 2022 nella Galleria dell’Accademia di Firenze, alla quale hanno partecipato e contribuito studiosi, noti a livello internazionale, con professionalità e competenze, “specializzazioni – sottolinea nella prefazione il direttore della Galleria dell’Accademia di Firenze Hollberg – che spaziano dalla figura e l’opera di Daniele da Volterra, ai bronzi rinascimentali, all’Archeologia, il Restauro, la Storia della metallurgia antica e ancora la Fisica, la Geologia, la Paleontologia animale, nonché la Morfometria geometrica, le Scienze delle costruzioni, le Scienze ingegneristiche e matematiche, l’Artigianato, l’Architettura digitale, l’Archivistica e la Paleografia”.
La mostra, unica e inconsueta, ha riunito per la prima volta in un’unica sede, i nove busti in bronzo di Michelangelo, apparentemente tutti uguali, attribuiti a Daniele da Volterra, provenienti da musei italiani e internazionali. È stata un’occasione irripetibile che ha permesso un raffronto diretto delle teste per rivederne i dati, i documenti e la relativa bibliografia, e risolvere – grazie anche a sofisticate analisi approfondite con metodologie e strumenti innovativi mai applicati in precedenza sui beni culturali – un dilemma durato centinaia di anni, che ha visto discussioni tra generazioni di storici dell’arte sul primato delle singole opere. La mostra e la giornata di studi hanno portato a risultati sorprendenti.
Si trattava di identificare, tra i nove bronzi esposti, le tre teste commissionate subito dopo la morte di Michelangelo a Daniele da Volterra, due delle quali erano state richieste da Lionardo Buonarroti e una da Diomede Leoni, e ipotizzare genealogie e derivazione delle altre.
Tutti e 9 gli esemplari presenti sono stati sottoposti ad una intensa campagna di analisi non invasive, sono state condotte indagini scientifiche come le analisi geologiche delle terre di fusione o quelle nucleari per determinare la natura e la composizione delle leghe di metallo, oltre ad un’accurata campagna fotografica. Ogni testa è stata digitalizzata e stampata in 3D in resina in scala 1:1; è stata digitalmente “mappata” nei punti chiave e nelle corrispondenze, sovrapposta e confrontata in un lavoro di ricerca unico nel suo genere, che ha unito per la prima volta l’esperienza digitale al rigore accademico nell’individuazione delle opere originali, nominate nell’inventario della casa abitata da Daniele da Volterra, e della “genealogia” delle varianti da loro derivate. Anche un decimo busto, conservato nel Musée Bonnat-Helleu a Bayonne, che non ha potuto essere esposto in questo contesto, è stato analizzato in loco come gli altri.
Dai vari confronti, come scrive il direttore Hollberg nel suo testo, si conferma che “i busti fiorentini siano quelli originali del primo getto”, le uniche tre teste rimaste in Toscana, dove vissero i loro committenti, ovvero quello al Museo Nazionale del Bargello, quello conservato nella Galleria dell’Accademia di Firenze e infine quello che si trova a Casa Buonarroti, da cui si presume derivino i busti nei musei stranieri. Teoria che Mario Micheli – professore di storia e tecnica del restauro presso l’Università Roma Tre – avvalla mediante l’analisi degli indicatori dei procedimenti metallurgici riscontrabili nei ritratti. Micheli ipotizza l’esistenza di un prototipo realizzato in bronzo con la tecnica della cera persa diretta (Bargello) dal quale derivano gli altri due esemplari realizzati da Daniele da Volterra (il busto della Galleria dell’Accademia e la testa di Casa Buonarroti), risultato proposto anche da Cecilie Hollberg attraverso l’osservazione diretta delle opere e la lettura complessiva dei risultati delle diverse indagini effettuate. Lo studioso Dimitrios Zikos, inoltre, è riuscito a dimostrare in modo ineccepibile che il busto eseguito per Diomede Leoni, ritenuto fino ad oggi l’esemplare della Galleria dell’Accademia di Firenze, è invece quello del Museo Nazionale del Bargello.
L’indagine radiografica, eseguita dal Laboratorio di Diagnostica Thierry Radelet, eseguita di notte nella Galleria dell’Accademia di Firenze, ha permesso di definire in modo certo le somiglianze e le differenze tra i ritratti per quanto riguarda la fase centrale del processo di realizzazione.