Passeggiando per il centro storico di Firenze, ho visto esposto nella vetrina di una piccola cartolibreria, un libretto dall’aspetto modesto, ma dal titolo curioso “ Lo struscio Fiorentino” ; questa parola, “lo struscio” dai diversi significati, sicuramente ben nota ai fiorentini che hanno trascorso molte “primavere” , mi ha incuriosito, tanto che, sono entrato in libreria e l’ho acquistato.
Via, via, che voltavo le pagine e leggevo, mi sono meravigliato di quante leggende, curiosità, credenze popolari ha in serbo per noi, questa bella città. Non si tratta delle grandi storie medievali e rinascimentali che l’hanno fatta grande e conoscere in tutto il mondo ma di piccole storie, aneddoti, dove l’immaginario dei fiorentini, fa da padrone; storie, per altro vere, che ce la rendono più cara e familiare anche se ammantate dall’innata fantasia e ironia del popolo fiorentino.
In questo caso la parola “Struscio” ha il significato di una passeggiata “a piede lento” per il cuore e le strade del centro.
Il libretto riporta diverse storie che occupano ognuna poco più di una paginetta. Mi sono chiesto quale fosse la più interessante e curiosa da raccontare. È stato difficile scegliere, perché tutte hanno qualcosa di particolare.
San Pietro Martire e il diavolo
Passeggiando a “piede lento” per il centro storico, all’angolo di via Vecchietti e via Strozzi, si può notare un portabandiera in bronzo a forma di “diavolino” che Bernardo Vecchietti ordinò al Giambologna. “La leggenda” racconta che nel 1245, San Pietro Martire, era intento a predicare, contro gli eretici in Piazza del Mercato Vecchio, ora Piazza della Repubblica. All’improvviso “il diavolo” sotto le sembianze di un cavallo nero, si fece violentemente strada tra la folla, che ascoltava attenta le parole del predicatore, e la disperse.
San Pietro Martire alzò un braccio e tracciò rivolto al cavallo imbizzarrito, il segno della Croce; pare che Il cavallo nero si fermasse all’istante e scomparisse nel nulla. Questo episodio è immortalato in un affresco del trecento, restaurato, che sovrasta la Loggia del Bigallo in piazza del Duomo di fronte alla porta del Battistero.
La finestra murata di Palazzo Pucci
Se un visitatore si trovasse a passare in via dei Servi, può vedere, al piano terreno del Palazzo Pucci, una finestra murata. Nel 1560, la famiglia Pucci, nobili fiorentini che erano sempre stati alleati dei Medici, vide un loro componente, Pandolfo de’ Pucci, estromesso dalla corte dei Medici perchè accusato di immoralità. Da allora le famiglie divennero acerrime nemiche. Pandolfo, pieno d’ira, assoldò dei sicari per assassinare Cosimo I de’ Medici. I sicari si appostarono dietro quella finestra del Palazzo Pucci, aspettando che Cosimo passasse di là come faceva ogni giorno per recarsi alla Chiesa della Santissima Annunziata.
Ma per fortuna di Cosimo, il complotto venne scoperto e Pandolfo de’ Pucci fu imprigionato e condannato dal Bargello all’impiccagione, Cosimo I, felice dello scampato pericolo, ma più prudente dato che ogni giorno doveva passare per quella strada, fece murare quella finestra, e così è rimasta anche ai giorni nostri.
I primi incontri di Dante e Beatrice
Non può mancare, la storia romantica e infantile degli incontri di Dante con Beatrice che si svolgevano in una piccola chiesa dalla facciata in pietra: “Santa Margherita” . Beatrice Portinari, ogni mattina si recava a messa, dalla casa paterna, lungo il Corso, insieme alla madre e alla nutrice, nella chiesetta di Santa Margherita. Dante Alighieri, la spiava, nella strada, affascinato dalla grazia e bellezza della bambina, tanto da innamorarsene. Entrambi avevano solo nove anni! Oggi in quella piccola chiesa, riposano le spoglie di Beatrice e della sua fedele nutrice Monna Tessa.
Sempre camminando” a piede lento” per le strade di Firenze, ad un occhio attento, non possono sfuggire, lungo i muri dei palazzi patrizi, delle piccole finestre a forma di “arco” che ricordano le porte e gli antichi portoni fiorentini. Da quelle finestrine, avveniva la mescita del vino, prodotto dalle antiche famiglie nobili fiorentine, proprietarie di terre e vigneti fuori dalle mura della città
In piazza del Duomo, dietro l’abside della Cattedrale, spicca sul selciato una lastra di marmo a forma rotonda. La lastra segna il posto dove la grande palla di rame dorato, (opera di Andrea Verrocchio) cadde, colpita da un fulmine, il 17 gennaio del 1600, durante un violento temporale, tra saette e pioggia torrenziale. La palla era stata collocata sulla sommità della lanterna della cupola del Brunelleschi) nel 1472. Fortunatamente non ci furono danni a cose o persone. Dopo due anni, nell’estate del 1602, la palla ristrutturata venne ricollocata sulla lanterna.
Due lapidi per ricordare l’alluvione
A ricordare l’alluvione di Firenze, in via San Remigio, angolo via de’ Neri sono state poste due lapidi. In una, quella moderna, si può leggere “Il 4 Novembre 1966 l’acqua d’Arno arrivò a questa altezza. Ma quella più interessante è la seconda lapide che ricorda l’alluvione del 1333. C’è scolpita una croce che sovrasta delle onde e un dito che indica il livello raggiunto dalle acque; una scritta in versi e in gotico, dice” Il 1333 dì quattro di novembre, giovedì ; la notte puoi vegnendo venerdì, fu alta l’acqua d’Arno fino a qui”.
Il profilo d’uomo di Michelangelo
All’ingresso, del portone del Palazzo della Signoria, sede del Comune, sulle pietre del bugnato, a destra, c’è inciso un profilo d’uomo. Si narra che a scolpire quel ritratto sia stato proprio Michelangelo Buonarroti. Pare che l’illustre artista, scommettesse, di scalpellinare il profilo con le spalle rivolte alla parete, senza poter vedere l’opera che realizzava. Non è noto chi fu l’uomo ritratto. Una delle versioni popolari, racconta che un giorno che Michelangelo si trovava a passare in Piazza della Signoria, vide un uomo che per i debiti che non aveva onorato, era stato condannato alla Gogna, con le mani poste dentro fori ed imprigionato da due travi di legno, deriso e insultato dalla folla.
Michelangelo si avvicinò alle guardie e chiese quanto tempo il pover uomo doveva rimanere in quella posizione. Una guardia rispose “Per troppo poco tempo! I fiorentini, abbisogna che si ricordino più a lungo di costui!” Michelangelo a queste parole si mise a incidere la pietra affinché il popolo lo ricordasse. Infatti quel ritratto è ancora ben visibile.
Le torri della città
Firenze è una città piena di torri, anche se molte rimangono nascoste dai palazzi costruiti in epoche successive. Le case torri avevano la funzione di abitazione, fortificazione e difesa in caso di attacchi nemici. La loro costruzione e crescita iniziò intorno al 1200. Si possono ancora ammirare, nella zona di Borgo San Jacopo alcune delle più belle che appartenevano alle famiglie benestanti della città. In caso di attacchi violenti e di giustizia sommaria tra famiglie rivali, la famiglia si rinchiudeva nella casa-torre, spesso collegata alle famiglie amiche da un ponte levatoio che poteva essere auto distrutto, così da isolarsi dagli attacchi dei nemici. Verso il 1400 le torri assunsero la funzione di ” prestigio” e ogni famiglia benestante fece costruire una torre accanto alla casa o al palazzo, ostentando la posizione economica privilegiata. Ma se la famiglia cadeva in disgrazia per motivi economici e politici, la torre veniva mozzata a secondo della situazione finanziaria. Nel 1248 i Ghibellini disfecero le torri dei Guelfi che a loro volta, due anni dopo, nel 1250, mozzarono quelle dei Ghibellini.
Nel 1300 a Firenze, c’erano più di 150 torri che per legge, non potevano superare la torre del Bargello, sede del Capitan del Popolo, potere politico della città; né potevano superare il Campanile che Giotto aveva costruito per Santa Maria del Fiore, simbolo del potere religioso e spirituale.
La testa di donna sul campanile
Per concludere questa carrellata di curiosità e piccole storie (ma ce ne sono altre) ci spostiamo sul lato di via Cerretani, una strada ancor oggi molto importante.
Sul campanile romanico che costeggia la fiancata di Santa Maria Maggiore, spicca una testa di donna in marmo bianco di epoca romana. Si narrano due leggende a proposito. Si dice che una popolana, un‘ortolana, vissuta nel 200, che portava a vendere i prodotti del suo campo ai piedi del campanile, avesse deciso non essendo maritata, di lasciare tutti i suoi risparmi ai monaci di Santa Maria Maggiore, con la preghiera che facessero fondere una campana per il campanile.
Al tramonto, la campana doveva essere suonata per avvertire gli ortolani e gli agricoltori che lavoravano nei campi, fuori dalle mura della città, che era giunta l’ora di rientrare alle loro case. Era usanza, per sicurezza, aprire le porte della città all’alba e richiuderle al tramonto; per questo motivo i ritardatari per non rimanere fuori le mura tutta la notte, tiravano i sassi contro i pesanti portoni, per avvertire i soldati di guardia e per ritardare la chiusura delle porte.
Da questo fatto nacque a Firenze il detto “ essere alle porte coi sassi”.
Il popolo del quartiere, in segno di gratitudine pose la testina di marmo di Berta sul campanile, dove si può tuttora ammirare.