Mario Fratti ha presentato l’unico suo romanzo “Diario proibito – L’Aquila anni Quaranta” (Graus Editore) scritto mezzo secolo fa ed ambientato nella sua amata città natale. “A L’Aquila, città che tanto amo”, ha scritto nella dedica, ma dalla quale nel 1947 partì per Venezia e poi per New York.
Nella metropoli americana si è affermato come uno dei più grandi drammaturghi, riuscendo a raggiungere il successo in vita laddove non era capitato neanche a “mostri sacri” del teatro americano, come Tennessee Williams e Arthur Miller, o europeo, come Bertolt Brecht e Jean Paul Sartre.
Nella sua città è tornato con il solito entusiasmo, con l’ottimismo e la speranza di vedere L’Aquila rinascere dalle rovine del terremoto. È tornato per la presentazione dell’unica sua opera di narrativa dove si raccontano, tra realtà ed immaginazione creativa, gli anni difficili dopo l’8 settembre 1943 a L’Aquila, la fine del fascismo e poi della guerra, la riconquista della libertà ed i primi anni della democrazia.
Li racconta, quegli anni, con la crudezza tipica della scrittura che non indulge a giri retorici, immediata e diretta, densa di dialoghi battenti, narrando efferatezze, violenze e torture, lo stupro della dignità umana di quel periodo terribile per L’Aquila e l’Italia, insanguinate dall’occupazione nazista e dai repubblichini di Salò.
Il romanzo, in fondo, è un inno alla libertà, una testimonianza letteraria del contributo degli aquilani alla liberazione dell’Italia dal nazifascismo, reso vivido con l’inserimento, in appendice al romanzo, del dramma “Martiri”, atto unico dedicato ai Nove Martiri Aquilani, giovani in lotta per la libertà catturati e fucilati dai tedeschi nel 1943, dei quali Fratti era amico e coetaneo.
La presentazione del suo libro è stata l’occasione per conoscere da vicino lo scrittore che tanto lustro e prestigio ha portato all’Italia e all’Abruzzo: autore di opere teatrali, drammi e commedie, che gli sono valse una messe di riconoscimenti, in America e nel mondo, tra i quali 7 Tony Award, il massimo tributo nel mondo del teatro, quanto lo è l’Oscar per il cinema.
Il drammaturgo è però arrivato a L’Aquila gratificato dall’ennesimo riconoscimento: il Capri Award “per il teatro e la narrativa”.
Il Premio internazionale è stato fondato trent’anni fa dal giornalista e scrittore Claudio Angelini, che da sempre lo presiede, con il sostegno del mecenate Paolo Morgano, imprenditore appassionato di cultura.
È del 1959 il primo dramma di Fratti, “Il nastro”, scritto per la radio, vincitore di un premio Rai. Non fu mai radiotrasmesso. Giudicato allora sovversivo, narra le confessioni sotto tortura di alcuni partigiani, poi fucilati dai fascisti.
L’autore era arrivato trentenne a scrivere per il teatro, dopo giovanili esperienze poetiche. Oggi la sua produzione drammaturgica raggiunge quasi una novantina di opere. Negli Stati Uniti, sin dal suo arrivo dall’Italia, nel 1963, la critica lo accoglie con favore. Il suo stile è perfettamente compatibile con l’indole americana, aliena dalle ridondanze, dalle metafore, dal linguaggio ricercato e dalle sfumature proprie del teatro europeo.
L’aiutano la padronanza dell’inglese e la sua profonda conoscenza della letteratura americana. Dalla Columbia University è presto chiamato ad insegnare “Storia del teatro e scrittura teatrale”. Legata al caso l’emigrazione negli Stati Uniti. Nel 1962, al Festival dei Due Mondi di Spoleto, il suo atto unico “Suicidio” stupisce Lee Strasberg, che lo mette in scena all’Actor’s Studio di New York. In quella fucina delle avanguardie, il dramma diventa un autentico caso teatrale.
Fratti, che nel 1963 era andato a New York per assistere alla “prima” di Suicidio, un vero successo, resta in America. Di successi ne seguiranno molti altri.