Le corna rappresentano il gesto scaramantico per eccellenza (Ph Mirko Bozzato da Pixabay)
A Napoli, la superstizione è un culto, un’abitudine, una credenza che non ha alcun appiglio logico, ma è abbracciata indiscriminatamente da tutte le classi sociali. Per superstizione si intende: “la credenza di natura irrazionale che tende a pensare che oggetti, determinati comportamenti e alcuni riti possano influenzare gli eventi futuri”.
Quando la superstizione incarna un potere malefico delle persone, si parla di malocchio; esso si manifesta con un influsso negativo dell’individuo che, attraverso lo sguardo, procura volontariamente o involontariamente dei danni a cose e persone. Il malocchio lanciato attraverso lo sguardo è meglio conosciuto a Napoli come jettatura che deriva appunto dal verbo gettare.
L’origine delle superstizione a Napoli sono antichissime.
Secondo lo scrittore latino Cicerone, la superstizione deriva da superstitiònem, che proviene da sùper (sopra) e stìtio (stato) e veniva utilizzato da parte di chi si rivolgeva alle divinità con preghiere affinché proteggessero i loro figli “superstiti” dalle sciagure.
Come fare per proteggersi dal malocchio? Esistono alcuni simpatici espedienti, uno era già presente in epoca greca e romana col nome di “fascinum”, un amuleto dalla forma fallica da appendere al polso che, strofinandolo, avrebbe generato energia positiva. Tra gli altri talismani, compare l’usanza di posizionare, sull’uscio della porta di casa, una matassa arruffata per impegnare lo spirito maligno nello sbrogliarla prima di entrare. Altri amuleti comuni sono: il ferro di cavallo, il gobbetto (la cui gobba porta bene), il numero 13, l’aglio e il peperoncino, ma i più utilizzati rimangono il corno e il gesto delle corna.
Il corno ha origini antiche che risalgono al periodo neolitico quando gli abitanti delle caverne lo appendevano all’entrata delle capanne come auspicio di fertilità. Esso, per dare gli effetti sperati e scongiurare il malocchio, deve presentare determinate caratteristiche, deve essere: rigorosamente rosso (poiché già dal Medioevo questo colore rappresentava la vittoria sui nemici), prodotto manualmente (in modo da acquisire il potere benefico di l’ha costruito), regalato da qualcuno, tosto, vacante e storto cu’ ‘a ponta (tradotto: duro, vuoto e appuntito).
Le corna invece rappresentano il gesto scaramantico per eccellenza e anch’esse hanno origini antichissime. Già dai tempi dei greci e romani venivano utilizzate per promuovere fertilità e protezione dagli spiriti malvagi, inoltre, in qualità di gesto, vengono fatte allo scopo di rispedire al mittente l’augurio di cattiva sorte. A tal proposito furono simpaticamente mostrate nel 1975 dal Presidente della Repubblica napoletano Giovanni Leone in risposta agli studenti contestatori di Pisa che gli augurarono di contrarre il colera.
Nella città partenopea convivono senza mai mescolarsi sacro e profano, preghiere religiose e formule scaramantiche, santi benefattori e corni appuntiti, grazie e fortune.
A Napoli, la superstizione rappresenta forse l’emblema di una città e di un popolo che crede a molte cose e che spesso dimentica di credere in sé; perché se è vero che gli eventi del passato hanno condizionato le credenze e il modo di vivere napoletano, quelli del futuro dovranno esser dettati dalle infinite potenzialità di un popolo intelligente dalle idee vulcaniche capace di esser artefice di un futuro prospero; fino ad allora, tra le strade e le antiche mura cittadine continuerà a risuonare la fatidica frase “Non è vero, ma ci credo”.
IL TEATRO - La superstizione napoletana è stata fedelmente interpretata nella commedia “Non è vero, ma ci credo” scritta da Peppino De Filippo nel 1942 a cui è ispirato l’omonimo film nel 1952. L’inizio della pellicola vede il superstizioso commendatore Gervasio Savastano recitare una serie di formule scaramantiche:
“Ragno di sera, bel tempo si spera. Ragno di mattina, novità bruttina.
La tartaruga, la lacrima asciuga. Rospo e civetta, croce e disdetta.
Gallo cedrone, son cose buone
Gallina zoppa, affare che intoppa.
Gufi, merli e barbagianni, son dolori, pene e affanni. Tocco terra col calcagno destro e di nulla più mi lagno.
Quando vedi un millepiedi, pur se non credi, fermati e siedi.
Di mattina ogni lombrico porta gioia che non ti dico, se gli giri poi intorno, ti va bene tutto il giorno”.

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