Una verde vallata tra Alto Adige e Veneto: il paesaggio silenzioso e al tempo stesso maestoso dell’Alpe di Nemes (Ph Luca Ferrari)

Pace montana, sapori genuini e una natura da fiaba. Questa è Padola di Cadore a 1215 metri nel Bellunese, frazione del comune di Comelico Superiore e avamposto ideale per raggiungere placide malghe, i pascoli estivi in alta montagna. Svegliatomi presto e compiaciuto per un fresco sole splendente, l’aria alpina è un toccasana per le vessate membra cittadine. C’è un po’ di gente in giro. La piazza è tinteggiata di scarponi, aromi caffeini e chiacchiere rilassate di paesani e affezionati turisti.

Dindoneggiano le campane. Lassù intanto, a controllare che tutto fili tranquillo, il maestoso monte Aiarnola (2456 metri). Basta convenevoli, si parte. Ingrano la terza direzione Sesto/S. Candido. Basta un attimo e il percorso è tutto una curva. Dieci minuti ed ecco l’indicazione su cartello giallo della Malga Coltrondo (1880 metri). Di lì la carreggiata si dimezza e i tornanti si fanno ancora più serrati. La pendenza aumenta. Si viaggia a velocità ridotta e così ho tutto il tempo per sbirciare nel sempre incredibile mondo di Madre Natura. Mi torna in mente l’albero del “mistero di Sleepy Hollow” di Tim Burton. Immagino le creature del sottobosco che mi stiano spiando divertite, degustando resina e bevendo acqua di sorgente.

Poco più di una ventina di altre incontaminate divagazioni mentali e almeno altrettante panoramiche descrizioni, sono facilmente arrivato. Ad attendere noi turisti, uno scenario che non ha paragoni: il Monte Quaternà (il Cervino di Sesto), dalla caratteristica forma vulcanica. Senza perdere altro tempo, comincio a passeggiare buttando l’occhio tutt’attorno. Lungo il cammino, alcuni sentieri. Si potrebbe iniziare una “maratona” proprio verso il Quaternà. Magari la prossima volta.
Bastano pochi metri per essere proiettati in una dimensione fatta di pini, abeti e larici. Brevi frazioni d’acqua e piccole pozzanghere con sopra fragili croste ghiacciate creano incredibili riflessi e giochi di luce. Il sole non dà tregua. Si fa così forte al punto che verso l’ora di pranzo si può stare in maniche corte a quasi 1900 metri.

Ritornati alla malga, la delizia dei cibi locali. Un trionfo di piacere. Dalla polenta col formaggio fuso allo spezzatino di capriolo. Dai soffici “canederli” con crauti, all’autentico succo di mela. Un pisolo sull’erba prima di ripartire. Le capre vengono lasciate libere di girare. Sono socievoli e facili alle carezze. La prima tappa è stata raggiunta. Adesso è tempo di ripartire e proseguo nel bosco verso l’Alpe di Nemes. Questa malga è situata nella parte più orientale della provincia di Bolzano, a un “tiro di schioppo” da Sesto Pusteria. La passeggiata è tutta nel bosco. Un po’ si sale. Un po’ ci si riposa. Ma soprattutto, si respira un mondo nuovo. A guardare le spalle della malga, il già citato Quaternà. Pare non esserci confine qui, tra uomo e cielo. Tra erba e roccia. A darmi il ben arrivato alla malga, ci sono loro. Le indiscusse regine nonché simbolo delle montagne (così come lo è il gallo nero nel Chianti), le mucche. Eccole. Libere. Al pascolo. Si godono i raggi di sole e scrutano questi “strani” bipedi. Ci sono quelle col tipico manto bruno-grigiastro, e poi ci sono quelle pezzate, bianche e marrone chiaro. Chissà il buon latte che producono ogni giorno. Mi avvicino un po’, sperando di non infastidirle. Continuano a bivaccare, e si alternano fra spuntini erbivori e qualche momento di relax. Seguendo il loro esempio, mi siedo sulle panchine in legno collocate fuori dalla malga. Non v’è dubbio su cosa ordinare per “merenda”. Una fetta di strudel innaffiata di crema alla vaniglia insieme a un bel bicchierone di latte di capra.

Il sole inizia a scemare. Prendo la strada del ritorno, puntando a una “Tolkeniana” terra di mezzo, proprio al confine tra Veneto e Trentino-Alto Adige. Di lì in poi costeggerò la strada per riprendere l’automezzo, in discesa. C’è un sentiero un po’ più ripido che attraversa il bosco. Come non entrarci? Vado veloce, come se fossi posseduto trasformatomi nel Tom Yorke del video “There there” della band inglese, Radiohead.

Strada (o meglio, sentiero) facendo, faccio la conoscenza del fungo “spia”, rosso coi puntini bianchi. Assolutamente da non mangiare poiché velenoso per gli uomini e per gli animali. Si dice che dove ce ne sia uno, ci sia un porcino nei paraggi. Butto l’occhio un po’ attorno ma niente. Trotto a zig-zag. Il sentiero si fa sempre più largo, e dalla macchia, mi ritrovo in radura. Sento il rumore delle macchine che sfrecciano sull’unica strada che collega il Veneto e la provincia autonoma di Bolzano. Prima di riprendere la marcia, approfitto ancora del tempo e parto con una goffa e spregiudicata corsa a perdifiato verso il verde, senza meta né direzione. Mi rotolo sui prati di Passo Monte Croce, come un bimbo. Prendo una penna e scrivo qualcosa sulla mano e poi sul braccio. Lo mostro alle nuvole. Lo mostro alle Dolomiti perché se lo ricordino. C’è una promessa. Una promessa che ritornerò presto.

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