Chiesa di Santa Maria del Castello a Losine

  Chiesa di Santa Maria del Castello a Losine

Lúden, in dialetto, è situato nella Val Camonica ai piedi del monte Concarena e sulle sponde del fiume Oglio. È attraversato dal torrente Poia. Un’e-pigrafe murata all’esterno della sacrestia dell’ex parrocchiale, attesta la presenza di uno stanziamento romano. Il comune si costituì nel 1400. Nel ventennio fascista fu aggregato amministrativamente a Breno ma riconquistò l’autonomia nel 1949. Una prima chiesa di San Maurizio (il patrono che viene festeggiato il 22 settembre) potrebbe essere stata fondata dai monaci di Tours nel sec. VIII-X, quando già forse esisteva la chiesa di Santa Maria del Castello.

Un documento del 1182 ricorda la pacificazione, avvenuta in San Maurizio, tra due rami della famiglia dei Griffi: nel 1174 il brenese Guiscardo aveva ucciso il losinese Biscardo e doveva ora riconsegnare ai figli dell’ucciso la torre di Losine. La famiglia Griffi, fu di parte guelfa e un Giovanni Griffi da Losine fu eletto nel 1182 vescovo di Brescia, contribuendo ad ampliare la potenza della famiglia. Nel 1402 i guelfi costruirono un fortilizio a Losine e uno a Niardo, che servì come base per disturbare i viscontei che occupavano il castello di Breno. Episodio saliente di queste contese fu il massacro dei Nobili per mano dei ghibellini, che irruppero nel castello di Lozio il giorno di Natale del 1410. La dominazione di Venezia nel 1428 restituì agli alleati guelfi, e quindi ai Griffi, diritti e possedimenti. Da visitare è la Chiesa di Santa Maria del Castello. Venne fatta costruire dai Griffi, all’inizio del XII secolo, o forse prima (verso il 1050).

La parte più antica era costruita a conci piuttosto larghi e squadrati, con una sola navata e con l’entrata laterale, poiché la facciata era addossata al terreno. All’interno l’affresco del Cristo Pantocreatore nel catino absidale e un ex-voto raffigurante un incendio e l’apparizione della Madonna con un’incisione che manifesta la volontà di Paolo Griffi di ringraziare la Vergine per lo scampato pericolo.

 Chiesa di Sant’Andrea a Monteverdi Marittimo

 Chiesa di Sant’Andrea a Monteverdi Marittimo

Il paese, facente parte del circondario della Val di Cornia, sorge a ridosso delle Colline Metallifere, ad un’altitudine di 364 metri. Il comune conserva antiche testimonianze: sono stati ritrovati resti di una strada romana e altre rovine, ma le origini del borgo sono da imputare alla fondazione dell’abbazia del monastero di San Pietro in Palazzuolo avvenuta nell’alto medioevo attorno al 754 d.C. per opera del nobile longobardo figlio del gastaldo Ratchausi di Pisa, Wilfrido, che è poi indicato come capostipite della famiglia pisana Della Gherardesca.

Il castello di Monteverdi sorse prima del Mille ma sicuramente successivamente all’Abbazia. La storia del monastero e del castello non è sempre andata di pari passo: mentre gli abitanti del borgo si sottomisero a Volterra, i monaci benedettini di San Pietro si misero sotto la protezione di Massa Marittima. Nel 1360 il monastero venne assalito e danneggiato da Pisa durante gli scontri con i Fiorentini. In questo periodo il monastero era aggregato alla Congregazione dei Vallombrosani. Monteverdi, a fasi alterne, venne assoggettato da Firenze e dalla Signoria di Piombino; infine i Fiorentini sottomisero Monteverdi nel 1472 in occasione della conquista di Volterra. Il Monastero perse gradualmente importanza fino al suo abbandono nel 1561.

Il borgo è uno di quelli che trasse maggiore vantaggio dalle riforme leopoldine messe in atto nel 1776 da Pietro Leopoldo di Lorena. Con l’abolizione dei feudi a seguito del nuovo assetto territoriale ridisegnato dal Granducato di Toscana, il castello di Monteverdi ottenne la sospirata autonomia comunale. Dal 1815 Monteverdi Marittimo rientrò a far parte del Granducato di Toscana, retto dai Lorena, il comune era amministrativamente sotto Pisa, nel 1837 passa sotto l’amministrazione del compartimento granducale di Grosseto, rimanendovi fino alla sua annessione al Regno d’Italia avvenuta ad opera del Re Vittorio Emanuele II, rientrando amministrativamente nella neonata provincia di Pisa.

Nuxis, comune sardo di 1.657 abitanti della provincia di Carbonia-Iglesias, nella regione del Sulcis. 

 La chiesa campestre di Sant’Elia a Nuxis

 La chiesa campestre di Sant’Elia a Nuxis

 
Nucis in dialetto, è “il luogo degli alberi di noce”: probabilmente deve il nome alla pianta, particolarmente diffusa. Intorno all’anno 1000 il nome del paese era Nugis o Nughes. A seguito della dominazione aragonese intorno al 1300, prese il nome attuale di Nuxis. Il territorio possiede un ricchissimo patrimonio archeologico, sono presenti testimonianze della presenza dell’uomo fin dalla preistoria. Di notevole interesse la necropoli nella grotta di S’acqua cadda, risalente alla civiltà prenuragica di monte Claro. Una grossa testimonianza dell’età nuragica è il pozzo sacro, edificato attorno all’XI secolo a.C. e i numerosi nuraghi sparsi nelle campagne.
 
In località “Is pillonis” e in quella “pranedda”, sono state individuate Domus de Janas. Nell’Alto Medioevo, sulla vita e sulla cultura del paese venne esercitata una notevole influenza dai monaci benedettini. Dopo la cacciata dei pisani da Cagliari, gli Aragonesi lasciarono la zona senza protezione rispetto alle continue scorrerie dei predoni nordafricani, provenienti dal mare. La zona restò quasi spopolata dal 1397 al 1488. Quando in Spagna si unificarono i regni di Ara-gona e Castiglia, Nuxis divenne un feudo spagnolo. Fino al 1700 la popolazione continuò a subire scorrerie dei pirati e dei nuovi feudatari.
 
Agli inizi del ‘700, sotto i primi vicerè del regno di Sardegna, i governanti cominciarono a favorire il ripopolamento delle campagne. Nascono i primi “Is furriadroxius” e “Is cussorgias”, utili per difendersi. Nel 1839, ci fu l’abolizione dei feudi, i quali furono riscattati da parte delle comunità locali e dei comuni. Nel 1957, ottenuta l’autonomia, divenne Co-mune. Il paese fonda la sua economia sull’agricoltura e l’allevamento. Nel territorio sono presenti due miniere molto importanti, monte Tamare e “Truba niedda”. Il paese ha visto rifiorire l’interesse per l’artigianato, sull’onda di una generale riscoperta di tutto ciò che è tradizionale e antico. 
 
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