Che l’italiano sia cambiato, si sia evoluto rispetto al passato e alle grammatiche classiche, tanto da essere ben diverso dall’idea che tutti ne abbiamo come lingua sempre uguale a se stessa, fa passare sottotraccia quella serie di cambiamenti costanti che oggi, nella maggior parte dei casi, avviene proprio a vantaggio dell’Inglese.
Pensiamo all’Italiano come alla lingua immaginifica della Divina Commedia o alla metrica musicale che ha raggiunto la massima espressione nell’opera lirica e se di questo dobbiamo continuare a farcene vanto, dall’altro lato dobbiamo riconoscere che non parliamo, e soprattutto non scriviamo più, come facevano i nostri nonni. Figuriamoci Dante Alighieri.
Il suo pregevolissimo modello che sta alla base della letteratura e della linguistica italiana, è lontano anni luce da quello che tutti consideriamo Italiano.
Usiamo un vocabolario completamente diverso e modi nuovi di formulare le frasi e i pensieri. In fin dei conti sono passati più di sette secoli.
Se immaginassimo un italiano di appena 50 anni fa ascoltare come parla un italiano di oggi, probabilmente il primo si stupirebbe di quanti cambiamenti sono avvenuti in un tempo così breve e in molti casi gli servirebbe un corso intensivo di Inglese.
Questo perchè abbiamo a che fare con una “lingua viva” (slogan volutamente scelto dagli Stati Generali della Lingua Italiana), che assorbe gli stimoli del suo tempo.
Ai giorni nostri c’è una sovrabbondanza di termini inglesi specialmente nel settore tecnologico-informatico che non ha eguali. In questi due campi si registra una presenza di vocaboli presi in prestito dall’Inglese superiore al 10% e questo è un processo più che naturale se è vero che Apple, Google e Microsoft, ma anche il martellante mercato di smartphone e social network, hanno imposto i loro linguaggi come la loro onnipresenza nella nostra vita quotidiana. Stessa cosa fa il mondo della finanza e stessa cosa ha fatto e continua a fare il mondo della musica.
Secondo il dizionario di Tullio De Mauro più del 2 % delle parole italiane ha un etimo greco. La lingua della classicità non ha introdotto solo termini specialistici ma soprattutto parole di uso assolutamente comune come atmosfera o entusiasmo.
Questo per dire che da sempre c’è un processo di evoluzione nella lingua italiana, che in tutte le epoche terminologie prese da contesti specifici sono state assimilate e reclutate per esprimere concetti con pertinenza, che moltissime parole straniere si sono poco alla volta sedimentate nell’uso colloquiale tanto da entrare poi a pieno titolo nel linguaggio comune, sino a finire nei dizionari, magari dopo appena una cinquantina d’anni, come vocaboli di uso comune.
Allo stesso modo è cambiata la percezione che si ha dell’Italiano come lingua straniera.
Oggi vanta una popolarità poco consapevole tra gli stessi italiani che la dice lunga rispetto a come veniva considerata al tempo delle valigie di cartone o durante la seconda Guerra Mondiale quando parlare in italiano significava, negli Usa, parlare la lingua del nemico.
Non ci deve solo inorgoglire sapere che è tra le lingue a maggiore espansione all’estero, visto che la domanda d’italiano negli Istituti di cultura e nelle Università straniere è notevolmente aumentato: nel 2014 gli studenti erano 1,5 milioni mentre oggi sono saliti a 2,3 milioni.
Ci deve far capire come non ci sia nulla di statico nella lingua che parliamo da quando siamo nati, neanche la sua diffusione all’estero tra oriundi e amanti della lingua Italiana.
Stati Uniti e Australia sono ad esempio i Paesi anglofoni con il maggior numero di studenti di italiano. Negli Usa, l’Italiano è la quarta lingua straniera più studiata, e gli Stati Uniti hanno il primato del Paese che ha il più alto numero di cattedre e di italiano e dipartimenti di italianistica (50) nel mondo con circa 400 corsi di italiano insegnati a livello universitario, senza dimenticare che in 800 scuole (il 60% si concentra sulla costa est, nella fascia Boston, New York, Philadelphia, Washington) di ogni ordine e grado, l’italiano costituisce una parte dell’offerta curricolare. Crescono inoltre gli studenti americani che vengono a studiare in Italia: nell’ultimo biennio sono aumentati del 4,4% rispetto al biennio precedente.
Un’inversione di tendenza che una cinquantina d’anni fa nessuno avrebbe dato per scontata.