Avere 75 anni e non sentirli…o almeno non dimostrarli. Per gli italiani pare sia così. Lo dice uno studio pubblicato su Lancet Public Health.
La differenza tra età anagrafica ed età biologica è stata oggetto di uno studio scientifico condotto in varie nazioni del mondo e ha rivelato l’esistenza di un gap di ben trent’anni tra le nazioni. In pratica esistono paesi dove si portano meglio gli anni e paesi, soprattutto in via di sviluppo, dove se ne dimostrano molti più degli effettivi.
“L’aumento dell’aspettativa di vita – afferma il primo autore dello studio, Angela Y. Chang, Center for Health Trends and Forecasts della University of Washington – può rappresentare sia un’opportunità, che una minaccia per il welfare delle popolazioni, a seconda dei problemi di salute correlati all’età che le persone sviluppano, indipendentemente dall’età anagrafica e i sistemi sanitari devono sapere a quale età le persone cominciano a risentire degli effetti negativi dell’invecchiamento”.
Nell’analisi i ricercatori hanno misurato il ‘burden of disease’ correlato all’età, aggregando i dati riferiti alla perdita degli anni di vita in salute, derivanti da 92 patologie considerate collegate con l’avanzare dell’età.
Le patologie correlate all’età che maggiormente contribuiscono alla mortalità e alla maggiore perdita degli anni di vita in salute, sono: cardiopatia ischemica, emorragia cerebrale e broncopneumopatia cronico-ostruttiva.
Lo studio ha preso in esame i dati relativi ai 65enni che vivono in 195 nazioni nel periodo 1990-2017.
E’ così risultato che in Papua Nuova Guinea si invecchia di più e in Giappone di meno. Nella parte centrale della classifica ci sono gli USA (53° posto) che si collocano tra Algeria (52° posto) e Iran (54° posto). L’Italia conquista invece un rilevante ottavo posto: un nostro connazionale, a quasi 75 anni, ne dimostra biologicamente 65.
La top ten delle nazioni più ‘giovanili’ del mondo è guidata da Giappone, Svizzera, Francia, Singapore, Kuwait, Corea del Sud, Spagna, Italia, Porto Rico e Perù.