27 Febbraio: centododici anni fa nasceva a Salinas John Steinbeck, uno dei più grandi scrittori californiani ed uno dei giganti della letteratura statunitense, maestro di realismo e testimone e cantore di un’epoca di cambiamenti profondi.
 
Steinbeck, considerato uno dei principali esponenti della cosiddetta “Generazione perduta”, fu uno di quegli artisti dal temperamento caldo; uno di quelli senza paura di sporcarsi le mani, e con la voglia viva sempre in corpo di scendere in strada a toccare e vedere il mondo in prima persona, senza mediazione alcuna. In gioventù lesse molto, sì, ma senza farsi dominare dai libri: frequentò l’università di Stanford con un po’ di indolenza, lavorò come bracciante, come operaio nella costruzione di strade e sudò sette camicie in una fabbrica di zucchero da barbabietola.
 
Poco più che ventenne si trasferì a New York per sbarcare il lunario come giornalista e scrittore, e si ritrovò a vivere di espedienti… poi, anche quando il successo lo colse (e mai lo travolse), continuò a viaggiare in giro per il mondo, finendo addirittura a fare il corrispondente di guerra.
 Lo scrittore John Steinbeck 

 Lo scrittore John Steinbeck 

Un uomo d’azione dunque, ma a differenza dell’altro grande californiano della letteratura, Jack London, per il quale l’azione era il nocciolo, il fondamento di tutta l’esistenza, Steinbeck la sottopose al suo desiderio di diventare scrittore di successo. 
 
La letteratura fu sempre l’obiettivo ultimo, il traguardo da raggiungere, e tutto il suo brigare, il suo impegnarsi in mille attività su e giù per gli States, potrebbe certo esser letto come conseguenza diretta della sua bramosia, della sua corsa verso il successo.
 
Scrivere dunque; scrivere è l’ambizione prima del giovane Steinbeck, che arriva a New York a fare il giro delle sette chiese, tra case editrici e riviste letterarie, ricevendo soddisfazioni (pochissime) e porte in faccia (una marea). 
 
Almeno fin quando il talento, purissimo, cristallino, non inizia immancabilmente a sgorgare e, come poteva essere altrimenti, racconto dopo racconto, le case editrici si accorgono di lui.
 
Dopo l’esordio romanzesco con “La Santa Rossa”, Steinbeck pubblica “I pascoli del cielo”, ricevendo i primi diffusi consensi di critica e pubblico. Nel ’35 esce “Pian della Tortilla”, che viene acquistato da Hollywood per qualcosa come quattromila dollari. Da qui in poi la fortuna del californiano di Salinas è fatta: premi letterari nazionali come se piovesse; migliaia di copie vendute, soprattutto con “Furore” e “Uomini e topi”, a far la fortuna di case editrici (la Viking Press di New York su tutte, che si accaparrò il fruttuosissimo autore nel ’39, sbancando il mercato editoriale dell’epoca), tante collaborazioni con Hollywood (tra cui la stesura del copione per “Hitchcock Lifeboat”), fino all’apoteosi del Nobel nel 1962, con la motivazione: “Per le sue scritture realistiche ed immaginative, unendo l’umore sensibile e la percezione sociale acuta”.
 
E proprio dalla motivazione per il Nobel si potrebbe partire per un rapido, rapidissimo sguardo, un poco più a fondo nella produzione steinbeckiana: umore sensibile e percezione sociale. 
 
“Pian della Tortilla” racconta le tragicomiche vicende di un gruppo di “paisanos” di Monterey, California. Gente che viveva sull’orlo dell’indigenza più assoluta, di una povertà profondissima, estrema, descritta da Steinbeck con un gusto umoristico, una scanzonata leggerezza prettamente tipica (anche grazie a lui, e soprattutto a Twain) della letteratura statunitense. 
 
Le vicende spesso grottesche, infime quasi, dei protagonisti, Danny e i suoi amici – che conservano nel sangue dei barlumi di nobiltà che, a dir loro, discenderebbero dagli illustri antenati spagnoli, i colonizzatori – sono raccontate con un piglio tanto realistico quanto divertito. Sono ammantate di un’aura picaresca che le trasforma e innalza su un piano superiore. Attraverso un gioco letterario raffinatissimo, a tratti, finiscono per diventare ca-ricature delle gesta dei nobili cavalieri delle letterature europee. 
 
Steinbeck descriveva così la crisi economica che gli Stati Uniti stavano attraversando in quegli anni. Molti vollero leggere, sbagliando, in “Pian della Tortilla” un elogio della povertà e della nullafacenza. In realtà lo scrittore di Salinas andava delineando uno dei suoi motivi più importanti e frequenti: l’odio e il disprezzo per la mediocrità della classe borghese.
 
“Uomini e topi”, tradotto in italiano l’anno successivo alla pubblicazione del 1937 a New York dallo scrittore Cesare Pavese, tra i grandi del Novecento italiano, racconta la storia di due braccianti, Lenny e George, che girano il Midwest per affittare schiena e braccia nei ranch. Coltivano il sogno americano di possedere una piccola proprietà, e finiscono bruciati da un destino malevolo che non gli lascia scampo fin dalla prima pagina. 
 
In quest’opera l’autore prende posizione sulla spinosa questione dello sfruttamento del lavoro agricolo, affinando la sua vena sociale e firmando uno dei più grandi capolavori della narrativa americana.
Altra grande prova di critica della società borghese e benpensante a stelle e strisce è data in “L’inverno del nostro scontento”, del 1961. Vi si narra la pa-rabola esistenziale di un bottegaio di Long Island che, insoddisfatto della propria condizione sociale ed ottenebrato dal mito del successo, ordisce una sicura ed intricata trama di inganni e sotterfugi, fino a raggiungere il suo obiettivo, ma a costo di per-dere la propria coscienza.
 
La consegna del nobel ha regalato a John Steinbeck il sogno che aveva cominciato ad inseguire fin da ragazzo, scrittore alle prime armi e figlio del “Golden State”. Entrare nell’olimpo della letteratura e diventare uno dei capisaldi della narrativa a-mericana è stato il traguardo, raggiunto dopo una battaglia e una rincorsa durate una vita. 
 
E forse proprio per questo, Steinbeck, grande narratore di uomini sempre in lotta contro le ingiustizie sociali, contro un destino beffardo e contro le proprie irrefrenabili passioni, rappresenta perfettamente il mito del-l’uomo di successo americano.
 

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