In the past twelve months, we’ve all become sadly acquainted with the idea of contact tracing: used very successfully in the management of the pandemic in countries like South Korea and Israel, it hasn’t been as efficient here in Italy, where a dedicated app, Immuni, has been largely considered a failure on all fronts.
This is pretty strange to say, if you think that the idea itself of contact tracing as a way to control the spread of infectious diseases comes from Italy. We need to go back to the 16th century and the times of the “great pox,” most commonly known as syphilis. Back then, the illness was very little known: it was new and there was no mention about anything even remotely similar to it in traditional medical texts of the times, which were based mostly on classical and Arabic treatises. In those years, the University of Padua, in Veneto, was the hub of medical research in Europe and it’s not surprising it was there, thanks to the work of anatomist Gabriele Falloppio, that the first epidemiological studies on syphilis were carried out. Falloppio and his team had an important intuition: that to fight the new illness, it was not only necessary to learn about other similar pathologies and the way they behaved, but also to understand how syphilis got to Europe and how it spread around. Interestingly, their basic texts to trace the development and diffusion of the disease were Christopher Columbus’ travel journals.
Thanks to the detailed account Columbus left of his trip back from America to Europe, Falloppio was able to track how syphilis had reached the Old Continent with Columbus’ crew, and the first hospital cases recorded in Barcelona. The illness then spread through Europe via King Ferdinand II’s army and even more via King Charles VIII’s mercenary soldiers, employed for great part of the winter of 1495 for the siege of Naples. A first flare up of the illness came during these months, with an even more significant rise in infections when Charles VIII’s army was dismantled and mercenaries returned to their countries. Some times later, in the 1530s, another Paduan physician, Bernardino Tomitano understood how syphilis spread from Europe towards the East via Venice and its many commercial connections.
Falloppio and Tomitano’s work is important because it opened up the way to further research in the field, but it is to another, much less famous and renowned doctor we owe the real discovery of the importance of contact tracing. It was 1576 when Andrea Gratiolo, a village doctor from Desenzano del Garda, had to deal with a deadly outbreak of bubonic plague in town. People believed it was a woman, who had recently traveled from Trento, who brought the disease to Desenzano, but Gratiolo was not convinced. Today, we known the plague is transmitted by infected rats and fleas through their bites but, in those years, it wasn’t clear yet. Gratiolo, however, had a hunch and sensed the woman was not responsible for the outbreak. In a clear example of “modern” contact tracing, he investigated the way the woman traveled from Trento to Padua and discovered she had spent most of the trip in close proximity with another woman who, once home, had gone back to her daily routines and habits, including sleeping in the same bed with her husband and her children. Neither the woman, nor her family had contracted the plague, which was proof for Gratiolo that the outbreak did not originate the way most people believed.
Gratiolo wasn’t the only doctor to go against mainstream medicine in those years, as many other practitioners had already begun to question a commonly accepted set of beliefs about spreading and contagion, including the idea that plague was caused by miasmas coming from swampy, unhealthy land, star alignments, bad nutrition and, last but not least, that it was, as all infectious diseases, a punishment sent by God to Mankind for its sins. With our modern minds, perhaps, we can’t fully understand the magnitude of Gratiolo’s idea: illness wasn’t a form of divine punishment for a sinful mistake, but the natural consequence of scientifically proven — or provable— factors.
The validity of Falloppio and Gratiolo’s theories and ideas were embraced in Europe quite quickly, or perhaps even developed independently through the continent, as we have documents from Nuremberg, Germany — of uncertain date, but likely compiled between the 16th and the 18th century — where it is proven that hospital patients were asked questions to find out how and where they may have contracted an illness.
In the past twelve months, the careful and adequate use of contact tracing has helped the world limiting the already immense losses caused by Covid-19. Perhaps it never occurred to us that something we consider so simple and so automatic has a long history of discovery and observation behind. Nor that it is to be counted among the many gift Italy has given to the world.
This article is based on a piece by Samuel Cohn and Mona O’Brien, of the University of Glasgow, published on The Conversation.
Negli ultimi dodici mesi abbiamo tutti tristemente familiarizzato con l’idea del contact tracing: utilizzato con grande successo nella gestione della pandemia in Paesi come la Corea del Sud e Israele, non è stato altrettanto efficace qui in Italia, dove un’app dedicata, Immuni, è stata ampiamente considerata un fallimento su tutti i fronti.
Questo è abbastanza strano da dire, se si pensa che l’idea stessa della tracciabilità dei contatti come modo per controllare la diffusione delle malattie infettive viene dall’Italia.
Dobbiamo tornare al XVI secolo e ai tempi della “grande peste”, più comunemente nota come sifilide. Allora la malattia era molto poco conosciuta: era nuova e non si parlava di essa né di qualcosa neanche lontanamente simile ad essa nei testi medici tradizionali dell’epoca, che si basavano soprattutto su trattati classici e arabi. In quegli anni, l’Università di Padova, in Veneto, era il fulcro della ricerca medica in Europa e non a caso fu lì, grazie al lavoro dell’anatomista Gabriele Falloppio, che furono effettuati i primi studi epidemiologici sulla sifilide. Falloppio e il suo team ebbero un’importante intuizione: che per combattere la nuova malattia non era solo necessario conoscere altre patologie simili e il loro comportamento, ma anche capire come la sifilide fosse arrivata in Europa e come si fosse diffusa. È interessante notare che i loro testi di base per tracciare lo sviluppo e la diffusione della malattia furono i diari di viaggio di Cristoforo Colombo.
Grazie al dettagliato resoconto che Colombo lasciò del suo viaggio di ritorno dall’America all’Europa, Falloppio fu in grado di tracciare come la sifilide avesse raggiunto il Vecchio Continente con l’equipaggio di Colombo, e i primi casi ospedalieri registrati a Barcellona. La malattia si diffuse poi in Europa attraverso l’esercito di re Ferdinando II e ancor più attraverso i soldati mercenari di re Carlo VIII, impiegati per gran parte dell’inverno del 1495 per l’assedio di Napoli. Una prima esplosione della malattia avvenne in questi mesi, con un aumento ancora più significativo delle infezioni quando l’esercito di Carlo VIII fu smantellato e i mercenari tornarono nei loro Paesi. Qualche tempo dopo, negli anni attorno al 1530, un altro medico padovano, Bernardino Tomitano capì come la sifilide si diffondeva dall’Europa verso l’Oriente attraverso Venezia e i suoi numerosi collegamenti commerciali.
Il lavoro di Falloppio e Tomitano è importante perché ha aperto la strada a ulteriori ricerche nel campo, ma è a un altro medico, molto meno famoso e rinomato, che dobbiamo la vera scoperta dell’importanza della ricerca dei contatti. Era il 1576 quando Andrea Gratiolo, un medico di paese di Desenzano del Garda, dovette affrontare un’epidemia mortale di peste bubbonica in città. La gente credeva che fosse stata una donna, da poco tornata da Trento, a portare la malattia a Desenzano, ma Gratiolo non era convinto. Oggi si sa che la peste viene trasmessa da ratti e pulci infette attraverso i loro morsi ma, in quegli anni, non era ancora chiaro. Gratiolo, però, ebbe un’intuizione e capì che la donna non era responsabile dell’epidemia. In un chiaro esempio di “moderno” contact tracing, indagò sul modo in cui la donna aveva viaggiato da Trento a Padova e scoprì che aveva trascorso la maggior parte del viaggio in stretta vicinanza con un’altra donna che, una volta a casa, era tornata alle sue routine e abitudini quotidiane, tra cui dormire nello stesso letto con il marito e i suoi figli. Né la donna, né la sua famiglia avevano contratto la peste, il che fu per Gratiolo la prova che l’epidemia non aveva avuto l’origine che la maggior parte della gente credeva.
Gratiolo non fu l’unico medico ad andare contro la medicina tradizionale in quegli anni, poiché molti altri medici avevano già iniziato a mettere in discussione una serie di credenze comunemente accettate sulla diffusione e il contagio, compresa l’idea che la peste fosse causata da miasmi provenienti da terreni paludosi e malsani, allineamenti stellari, cattiva alimentazione e, ultimo ma non meno importante, che fosse, come tutte le malattie infettive, una punizione inviata da Dio all’umanità per i suoi peccati. Con le nostre menti moderne, forse, non possiamo comprendere appieno la portata dell’idea di Gratiolo: la malattia non era una forma di punizione divina per un errore peccaminoso, ma la naturale conseguenza di fattori scientificamente provati o dimostrabili.
La validità delle teorie e delle idee di Falloppio e Gratiolo furono accolte in Europa abbastanza rapidamente, o forse addirittura si svilupparono indipendentemente attraverso il continente, visto che abbiamo documenti di Norimberga, in Germania – di data incerta, ma probabilmente compilati tra il XVI e il XVIII secolo – dove è provato che ai pazienti degli ospedali venivano poste domande per scoprire come e dove potevano aver contratto una malattia.
Negli ultimi dodici mesi, l’uso attento e adeguato della ricerca di contatti ha aiutato il mondo a limitare le già immense perdite causate dal Covid-19. Forse non ci è mai venuto in mente che qualcosa che consideriamo così semplice e così automatico ha alle spalle una lunga storia di scoperte e osservazioni. Né che sia da annoverare tra i tanti regali che l’Italia ha fatto al mondo.
Questo articolo è basato su un articolo di Samuel Cohn e Mona O’Brien, dell’Università di Glasgow, pubblicato su The Conversation.
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