Il nuovo album di Gray, uscito due anni dopo il precedente “La mia confidenza”, si porta dietro i racconti e l’energia dell’Italia e della West Coast americana, dove il rocker ha vissuto e lavorato per un certo periodo. “Sessantanoveincerchio” è stato registrato a Prato, Civitavecchia, Crotone e presso il Revolver Studios di Portland, nell’Oregon. Gray si è subito ambientato nella città americana, dove si respira musica e arte in ogni angolo, oltre ad avere una scuola di musica, tra le più importanti degli Stati Uniti, famosa per gli eventi e i corsi di jazz.
Il titolo del disco può evocare filosofie orientali ma più semplicemente si tratta dell’anno di nascita di Gray, chiuso dentro un cerchio, simbolo di cicli che si aprono e chiudono. Come dire che tutto ha un’andata e un ritorno, tutto gira con cicli che iniziano e finiscono per poi ripetersi sotto forme diverse, a volte in meglio e a volte in peggio, finchè poi il destino porta il tutto a chiudersi.
Il rocker, di origini calabresi, sin dal primo accordo di “Cose”, il brano di apertura di “Sessantanoveincerchio”, ci riporta nel mondo rock di antico sapore, italianizzato al punto giusto per esprimere una vasta gamma di emozioni che soltanto la perfetta simbiosi tra voce, chitarre elettriche e acustiche riesce a comunicare.
Il disco inizia con un pezzo mozzafiato che si trasforma in ballata, per poi riprendere il ritmo e spezzare ogni rischio d’impronta monocorde. Il testo è a tempo, una sintesi di metafore essenziali prive d’inutili giri di parole: “Ci sono cose che ti tengono in ballo come fosse il primo appuntamento…”.
Sulla stessa linea sono “Lunatica” e “Ho sentito dire”, che ampliano il “raggio di azione” compositivo di Gray, includendo anche melodia, passione per Bukowski e romanticismo libero, ricco di sfumature e significati, ben rivelati con le loro implicazioni filosofiche e popolari rintracciabili nel linguaggio crudo e quotidiano. Questo concetto si adatta anche a “Ballata per una stella” e “Ninna nanna”, dove la voce di Gray prende il sopravvento e avvolge i suoni con toni caldi ed estensioni piacevoli. “Dormi dolce dormi” parla di amore e abbandono, di quell’attimo fuggente da vivere tutto d’un fiato, tra il calore di un abbraccio e un brindisi all’oblio.
“Abusi” è diretto, come un pugno in faccia, in ossequio a Charles Bukowski, autore crudo e frenetico, protagonista e anima dello spettacolo/reading “FiglidiunaMaddalena” (canzoni, poesie e storie di ordinaria follia), portato in scena da Gray con Frankie Gj.
“Silenzio parole”, il ritmo lento della batteria introduce una ballata di atmosfera, intenta a intrecciare i pensieri dentro al buio che non parla, come recita una strofa del brano.
“L’essenza” e “Non erano rose” si esaltano con accelerazioni e sfumature hard, mentre “Vorremo essere tutti delle star”, conclude il disco con ironia e speranza: “Faccio quattro smorfie qui davanti allo specchio per vedere che effetto fa un difetto e tentare di uscire di casa dalla parte buona…”.
Le canzoni di Graziano “Gray” Renda rappresentano 10 anni della sua vita, un viaggio emotivo vissuto giorno per giorno, toccando aspetti quotidiani, riflessioni, sogni e un po’ di rabbia: “No, non erano rose ma piante carnivore e baci all’arsenico”. Il primo album del veterano della scena rock italiana, è Babylon, del 1989. Sono passati 26 anni ma la grinta e la voglia di raccontarsi non sono cambiate, come si evince anche dalla recente cover di “Amore caro amore bello”.