Dopo la vittoria de “La Grande Bellezza” di Paolo Sorrentino agli Academy Awards 2014, anche quest’anno il cinema italiano può dirsi rappresentato su più fronti agli Oscar 2016. Oltre alla candidatura ufficiale per l’Italia di “Non Essere Cattivo” di Claudio Caligari come miglior film straniero, c’è un altro regista italiano, Giulio Ricciarelli, in lizza per la Germania con il suo primo lungometraggio “Labyrinth of Lies”.
Ricciarelli nasce a Milano, ma si trasferisce giovanissimo in Germania dove comincia la sua lunga carriera nel cinema, prima interpretando ruoli come attore non solo teatrale, ma anche per il piccolo e il grande schermo, per poi approdare alla regia. Giulio Ricciarelli ha già ricevuto al Festival di Toronto nel 2014 molti consensi per questo suo primo lavoro con il quale si è immediatamente aggiudicato la candidatura per il premio cinematografico più ambito al mondo.
“Labyrinth of Lies” racconta un periodo oscuro e controverso successivo alla fine della Seconda Guerra Mondiale, cercando di approfondire e fare luce sul tentativo delle istituzioni tedesche di occultare i crimini commessi ad Auschwitz e negli altri campi di concentramento nazisti. La pellicola basata su fatti veri e realmente documentati tocca un difficile periodo della storia al quale anche il Museo della Tolleranza di Los Angeles ha dato spazio lo scorso settembre presentando in anteprima la pellicola. L’amore per il cinema italiano ha portato Giulio Ricciarelli qui a Los Angeles per il Cinema Italian Style 2015 in attesa della cerimonia di consegna degli Oscar che si terrà il prossimo 28 Febbraio 2016.
Giulio Ricciarelli, dall’Italia alla Germania ci racconta brevemente la sua storia? Dopo tanti anni con quale dei due Paesi sente un legame più forte?
In realtà mi sento legato a entrambi, mio padre è italiano e mia madre tedesca. Sono nato a Milano e da ragazzino mi sono trasferito in Germania, dove sono cresciuto. Tuttavia ho continuato a vivere entrambe le realtà non solo in famiglia. Per esempio anche solo per via del mio cognome in Germania sono stato sempre trattato non come tedesco ma come un italiano, anche dopo tanti anni. Naturalmente però avendo vissuto una parte della mia vita lì posso veramente dire di sentirmi appartenere sia all’Italia che alla Germania.
Da attore a regista qual è stato il percorso che l’ha portata a decidere di debuttare dietro alla macchina da presa?
Il passaggio alla regia è stato un processo naturale e molto graduale. Ho iniziato la mia carriera come attore teatrale e dopo tanti anni sul palcoscenico ho continuato a lavorare per il cinema e la televisione. In realtà ho sempre amato il cinema e il mio interesse è stato immediato per tutto quello che girava intorno a quel mondo dalla semplice curiosità di vedere come nasce un film, a come si può raccontare una storia con la telecamera fino ad arrivare alle tecniche di montaggio.
Come si sente al debutto della sua opera prima e cosa prova nel vedere “Labyrinth of Lies” già candidato all’Oscar come miglior film straniero? Che rapporto ha con il cinema italiano quest’anno rappresentato dal film di Claudio Caligari “Non essere cattivo”?
Sono molto felice e onorato non mi sarei mai aspettato di ricevere una candidatura per il mio primo film. Amo il cinema italiano e sono felice di esserne considerato in qualche modo parte e di rappresentare il talento italiano per il cinema seppur non ufficialmente.
Cosa l’ha portata a trattare nel suo primo riuscitissimo lavoro un tema così difficile come quello del negazionismo tedesco dell’olocausto?
Ho deciso di documentare e parlare della Seconda Guerra Mondiale come nessun film aveva fatto fino ad oggi. Volevo in un certo senso raccontare quello che non era mai stato detto fino ad ora e cioè come la Germania ha iniziato a fare i conti con il suo passato negli ultimi sessant’anni, basandomi su fatti veri. Questo è stato possibile grazie al lavoro e al contributo coraggioso di un gruppo di persone.
Come sta trascorrendo queste giornate a L.A.? Ha avuto modo di conoscere la comunità italoamericana?
Sto vivendo giornate belle e intense qui a Los Angeles, città che mi piace molto e dove ho tanti amici italiani. Sono venuto per partecipare ad alcuni importanti eventi della sezione Cinema Italian style 2015 dell’AFI American Film Institute di Los Angeles. È stata la prima volta e sono rimasto impressionato da questo importante festival dove ho potuto toccare con mano il vero amore che si respira a L.A. per il cinema. È una città nata proprio per il cinema, ma non solo, naturalmente ho potuto apprezzarne l’atmosfera, il clima e la libertà di poter andare in spiaggia e godersi l’oceano anche in novembre.
Tra cinema italiano e cinema americano è solo l’aspetto finanziario a fare la differenza? Su cosa dovrebbe puntare oggi il cinema?
Credo che il cinema in ogni paese abbia bisogno di raccontare storie che siano importanti e che trattino in qualche modo i cambiamenti epocali e le questioni che la nostra società sta affrontando in questo momento storico. Storie che sappiano affascinare, ma che allo stesso tempo sappiano veicolare contenuti.
Progetti per il futuro?
Certamente! Sto già lavorando al mio prossimo film ambientato nella Berlino dei giorni nostri.