Il nome dei giorni della settimana è una delle prime cose che si insegnano ai bambini. Come i diti della mano, o i mesi dell’anno: un apprendimento seriale. Per tenere allenata la memoria: lunedì, martedì, mercoledì, giovedì, venerdì, sabato; e poi domenica.
 
Certamente la suddivisione del tempo in settimane non è della tradizione classica occidentale. Essa fa parte della cultura ebraica. Vedi il racconto biblico della Creazione. 
 
E l’origine dei nomi dei giorni?
Intanto diciamo che a rigore la settimana, così com’è  oggi, non comincia dal lunedì; anche se la settimana lavorativa, diciamo quella civile, o quella abitudinaria, sì. 
 
Stando alla tradizione ebraica il sabato è il “giorno del riposo”, allora questo giorno non può essere che il settimo. Ne abbiamo conferma nel passo evangelico in cui si racconta che “il giorno dopo il sabato” Maria Maddalena (e, successivamente, Pietro e Giovanni) trovò la tomba vuota. Quindi quel giorno era ed è il primo giorno della settimana; quello che in seguito i cristiani chiamarono “giorno del Signore” (dies dominica),  e che noi chiamiamo ancora “domenica”.
 
Abbiamo detto “dies dominica”. Dove “dominica” è l’aggettivo derivato da dominus = il Signore, e “dies” è un nome che significa “giorno”. Questo nome della 5^ declinazione latina, come sanno gli studenti liceali, era  trattato a seconda delle situazioni contestuali a volte come femminile a volte come maschile. Così, nella penisola italica, una volta caduta “la” dies, l’aggettivo dominica, sostantivandosi, è divenuto un nome femminile: “la domenica”.
 
Mentre nell’area delle provincie occidentali, e quindi nella lingua francese e in quella spagnola, caduto “il” dies, l’aggettivo dominicus è diventato da una parte “le dimanche” (francese), dall’altra “el domingo” (spagnolo): entrambi nomi maschili.
 
“Dies”, che probabilmente accompagnava sempre anche tutti gli altri nomi dei giorni della settimana, e che nel caso della “domenica” si è eclissato, nei rimanenti cinque giorni si è mantenuto trasformandosi nel suffisso “–dì” (lune-dì, ecc.). Faccio notare poi che la stessa parola “dies” è presente come voce autonoma nella lingua italiana, ed è il nome tronco: “di’” [da diem]). Vedi l’espressione augurale: “Buon dì!”. Oltre che l’aggettivo derivato “diurno”.
 
Parlavamo degli altri cinque giorni. Essi, escluso il nome del “sabato” sono dedicati ai personaggi dell’Olimpo Romano. 
 
Scomparso Apollo dal primo giorno, divenuto  domenica per i cristiani (“il sole” però, quanto al nome, si è mantenuto nelle lingue anglosassoni), sono rimasti Diana (la luna: anch’essa presente nelle lingue anglosassoni), poi Marte, Mercurio, Giove e Venere.  Il nome del “sabato”, invece, ha conservato la forma della lingua ebraica.
 
Quindi i nomi della settimana, così come ce li ritroviamo oggi, rappresentano i segni nella nostra lingua di presenze di cultura classica (romana), ebraica e cristiana conviventi nella stessa civiltà. Di questi tre filoni, o meglio della loro sintesi (sincretismo), noi conserviamo la matrice, oltre che nelle parole, anche nella formazione ideale, quella che comunemente si dice la mentalità. Sulla quale poi si sono sovrapposte con maggiore o minore incidenza anche la cultura germanica (le cosiddette “invasioni barbariche”) e quella araba, considerando che quella greca e bizantina erano già componenti di quella classica.  
 
Nel linguaggio ufficiale della chiesa, che non poteva certo avere simpatia per i nomi di divinità pagane, il nome dei giorni della settimana, a parte il primo, denominato come abbiamo detto “dies dominica”, gli altri, sono designati col numerale: feria secunda, feria tertia, feria quarta, feria quinta, e feria sexta, dove feria è la parola latina che significa “festa”.
 
Ancora così sono chiamati i giorni della settimana nella lingua portoghese. Anche da noi, come in tutta la cristianità, chi va in chiesa il Giovedì Santo lo sa, quella festa si chiama “Feria quinta in cena Domini” (La quinta festa della settimana dedicata alla commemorazione della cena del Signore).
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