Laureato in Scienze dell’educazione con un passato di educatore professionale e insegnante, Giorgio Casu forse non immaginava di diventare un importante artista, impegnato com’era, a mettere in pratica ciò per cui aveva studiato all’Università, in un centro d’igiene mentale. 
 
Qualche anno più tardi, lasciato il centro e la Sardegna, ha intrapreso un viaggio lungo cinque anni che ha cambiato le sue prospettive portandolo dapprima in Inghilterra, poi in Australia, nel Sud-Est asiatico fino ad arrivare a New York, dove ha deciso di rimanere e lavorare. Le sue opere sono state esposte in svariate mostre in tutto il mondo, compresa quella che ha avuto luogo nel 2010 alla Casa Bianca, dove ha campeggiato il suo ritratto del presidente degli Stati Uniti, Barack Obama. 
 
Jorghe, così Giorgio firma le sue opere, è un artista a 360 gradi avendo collaborato alla realizzazione di orologi, chitarre elettriche, surfboards e a creazioni in ceramica fine (Elephant Eggs) realizzate da Cerasarda. 
I suoi murales impreziosiscono città negli Stati Uniti, in Messico, Italia, Costa Rica, India e Australia. Le sue stampe sono vendute in più di venti Paesi. 
 
L’arte è molto soggettiva, spesso difficile da interpretare e, a volte, appannaggio di pochi. Guardando le sue opere invece, si ha un impatto immediato anche se non si hanno  studi approfonditi in Storia dell’arte. Qual è il segreto?
Difficile dirlo perché ho cambiato più stili nel tempo e comunque lascio al pubblico la critica. Ci sono sicuramente vari livelli di lettura e alcuni di questi sono immediati, soprattutto per ciò che riguarda il linguaggio figurativo. Altre sfumature invece vengono interpretate e capite in un secondo momento. Il fatto che le mie opere piacciano subito mi fa molto piacere perché è un obiettivo non facile da raggiungere. Alla prima visione c’è l’impatto, l’immediatezza del soggetto unico, pari a quella di un mazzo di fiori o un paesaggio. Tante produzioni però, sono fini a se stesse e non celano un particolare messaggio o una ricerca stilistica se non la loro stessa bellezza. In molte delle mie opere mi piace elaborare un più articolato piano interpretativo.

‘Red Square’ di Giorgio Casu: ‘Mi lusinga il fatto che chi osserva le mie opere capisca che non c’è solo una lettura pittorica ma anche una interpretativa’

Ha viaggiato in tutto il mondo, dall’Europa al Sud Est asiatico fino all’America. Quanto ha influito l’esperienza del viaggio inteso come arricchimento personale e quanto ritroviamo nelle sue creazioni?
Quello dei viaggi è per me un percorso che, a parte essere gratificante dal punto di vista umano, è fondamentale per il mio lavoro. Dovunque vada faccio sempre una ricerca etnografica all’interno dei Paesi che visito e delle culture che vivo e, quando ne ho la possibilità, utilizzo i vari simboli e pattern. 
Nei miei viaggi c’è prima lo studio dell’uso che i vari popoli hanno fatto dell’arte figurativa, gli accostamenti di colore e l’uso delle linee, poi l’esercizio pratico di unire e armonizzare in una tela tutti i linguaggi che hanno attraversato la storia e la geografia umana di questi Paesi. 
Per esempio nel quadro “Red square”, dove è raffigurata la cattedrale di San Basilio a Mosca, sono presenti elementi estranei alla Piazza Rossa, ma in qualche modo pertinenti. Ci sono le mongolfiere che ricordano l’Art Nouveau e la Belle Époque francese, gli origami giapponesi che volano, una foca che ricorda immagini circensi russe. In tutto questo c’è un Charlie Chaplin in bianco e nero che gioca col palloncino rosso (richiamo a un famoso film francese del 1956) che incarna la rappresentazione scenica e cinematografica dei primi del ‘900 che inserisco per lasciare spazio a interpretazioni psicoanalitiche e oniriche. Tutte le mie opere hanno alle spalle uno studio, una costruzione e un condizionamento che riflettono i miei studi in psicologia e antropologia. Sono molto lusingato dal fatto che chi le osserva capisca che non hanno solo una lettura pittorica, ma anche interpretativa.
 
Nelle opere c’è un mix tra elementi reali ed altri fantastici. C’è un nesso tra ciò che rappresenta nelle creazioni e la percezione della realtà dei pazienti che seguiva all’inizio della carriera lavorativa?
Più che sulla loro percezione della realtà mi baso sullo studio della mente umana in generale, inclusa la mia, sui sogni, sull’interpretazione onirica, sui mondi paralleli e sulla letteratura del realismo magico, anche se in quei bellissimi frangenti prendevo spunti e idee che ho poi utilizzato.
 
Ci sono delle opere a cui è maggiormente legato?
Ogni opera dalla sua ideazione, al luogo dov’è stata esposta fino anche alla persona che l’ha voluta acquistare, ha una storia a sé e un significato importante, però alcune di queste, per ragioni diverse, hanno un valore aggiunto. Per esempio il ritratto di Picasso mi piace particolarmente per la sua struttura tecnica mentre il “Dragonfly”, la libellula, ha per me un significato personale per ciò che rappresenta.
 
Immagino le cose positive e i vantaggi dell’essere artista. Ne esiste per caso una negativa? 
Il lavoro che faccio è fantastico in ogni suo aspetto, le uniche cose “negative” sono forse la mole di progetti da seguire contemporaneamente e le tante persone da incontrare che, a volte, m’impediscono di ritagliare il tempo per dedicarmi, nel mio studio, solamente all’elaborazione e alla creazione delle opere.
 
Quali i sono i progetti attuali e quelli futuri?
Sto realizzando una collezione di tessuti, sari indiani e kimono giapponesi; mi piacciono molto gli indumenti classici delle culture antiche. A metà febbraio a New York, con un architetto e fotografo italiano, organizzerò una mostra in cui saranno esposte le sue fotografie dipinte da me a mano. Da giugno a settembre invece, andrò in Sardegna dove sarò impegnato a dipingere quattro murales.
 
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