Tiziano Fratus, poeta, scrittore, cercatore d’alberi, dalla California alle Alpi Cozie, che separano il Piemonte dalla Francia.
Come si è scoperto “cercatore d’alberi” e cosa comporta questa scelta nel quotidiano?
Il mio approdo alla scrittura è stato selvatico, nutrito da fascinazioni irregolari e improvvise. Per anni, diciamo dai venti ai trenta, mi sono cimentato con la scrittura in versi e ho avuto il piacere di seguire la mia poesia in altri luoghi, con viaggi negli Stati Uniti, in diversi Paesi Europei e nel sud-est asiatico. Qui è sbocciato un concetto cardine, quello dell’Homo Radix: un uomo che attraversa il paesaggio e crea connessioni spirituali con i grandi alberi.
Da qui la pratica quotidiana dell’alberografia, Treegraphy: ho iniziato a mappare i territori, a documentare gli attraversamenti del paesaggio, l’esistenza di alberi secolari e monumentali. Il primo libro, “Homo Radix. Appunti per un cercatore d’alberi”, ha battezzato un percorso che in pochi anni ha generato molti titoli, una ventina di mostre, itinerari in varie regioni, passeggiate per cercatori di alberi che conduco alla scoperta degli alberi, dei boschi, dei parchi e dei giardini botanici sia nelle città, sia nelle campagne, nella grande provincia italiana.
Parlando del suo viaggio in Nord America, cosa si aspettava di trovare e cosa invece ha trovato? Qual è stato il suo itinerario?
In California sono sbocciati i germi del concetto di Homo Radix. Per la precisione ero a Big Sur, ai piedi delle sequoie del Pfeiffer State Park, un posto bellissimo e carico di storia, anche letteraria, ancora circolano i sospiri e gli spettri di Kerouac e di Henry Miller. Mi sono innamorato di quel posto appena ci ho messo piede. Dopo quattro anni ho deciso di ritornare, per un reportage alla scoperta dei grandi alberi della California, un vero Eden per il cercatore d’alberi, per gli uomini e le donne radici!
E così sono tornato: ho visitato i grandi ficus di Los Angeles e Santa Barbara, i cipressi e l’orto botanico di San Francisco, i grandi parchi di sequoia costale che si dispiegano fino al confine con l’Oregon, e poi sono salito in Sierra a visitare il King’s Canyon, il Sequoia National Park, Yosemite, Mountain Home. Sono disceso nel deserto caliente del Mojave e sono risalito fino a Big Pine dove ho dormito ai piedi di un ghiacciaio e mi sono allungato fino alle White Mountains, là, a oltre tremila metri di altitudine, si incontrano i grove di pini più annosi del pianeta: superano i cinquemila anni. Un sogno, un universo.
Non solo alberi, quali sono i personaggi e i luoghi che ha portato con sé dopo il viaggio in California?
Tantissimi personaggi. Dalle figure mitiche e conosciute ancor oggi, come John Muir e le sue descrizioni della Sierra Nevada, e di un Galen Clark, il primo ranger della storia americana, alla guida forestale Walter Fry che lavorò per rendere più aperti i parchi, al fotografo Andrew P. Hill che diede impulso alla nascita del Big Basin Redwood State Park vicino a Santa Cruz; le storie degli uomini che hanno “tunnellato” le varie sequoie poi diventate attrazioni, come il Wawona a Mariposa (caduto nel 1969), il Chandelier Tree all’inizio della Avenue of the Giants, l’insegnante Minnie Stoddard Lilley che ha imbastito un negozio nel cuore d’una sequoia che esiste ancor oggi a Piercy, 300 km a nord di San Francisco.
Esiste una vasta bibliografia che ne parla, libri rarissimi che si possono ancora trovare in circolazione, come The Men of Mammoth Forest di Floyd Otter, To find the Biggest Tree di Wendell Flint, altri mitici personaggi, o i libri dedicati dal professor Lanner alle conifere dello Stato, come l’illustrato Conifers of California e il ricchissimo The Bristlecone Book del porfessor Lanner.
Ha scritto “se da noi è diventato consuetudine mangiare lenti, in California si vive lenti”…come racconta questa esperienza del vivere lento in California?
In alcuni parchi e in alcuni campeggi esistono adesivi e cartelli con la scritta Slow, Go slow, Live slow. Quando si parla di California, spesso si ironizza sulla lentezza e l’eventuale inconcludenza dei californiani. Sono stereotipi che coviamo anche noi in Italia quando si parla dei siciliani, dei napoletani, degli irpini. Andare lenti, vivere lenti è oggi una modalità che non risponde tanto al timore di lavorare e di faticare troppo, ma al contrario ha a che vedere con una qualità della vita superiore, ovviamente un lusso del nostro tempo. La lentezza può rappresentare una maniera per vivere meglio, per pensare meglio, per assaggiare e non soltanto per consumare.
Quali sono i suoi prossimi progetti?
Nel 2015 sono usciti due volumi, “Il libro delle foreste scolpite. In viaggio alla scoperta degli alberi a duemila metri” (Laterza) e il primo romanzo, “Ogni albero è un poeta” (Mondadori), ma è stato anche un anno di ritorno alla lirica: sono stati pubblicati due nuclei poetici, parte di un’opera in versi dal titolo “Arborgrammaticus”.
Sono impegnato nella promozione delle nuove uscite, ma ho anche deciso di staccarmi dai social. Mi piacerebbe tornare a gustare il senso dell’attesa, costantemente disinnescato, tornare alle vecchie lettere scritte e spedite via posta. Nel mio prossimo libro, “Giona delle sequoie”, mischierò le notizie e le esperienze dei viaggi e delle letture fatte in e attorno alle sequoie californiane, ma non soltanto. Sarà un libro dai toni epici, almeno spero: la fucina della scrittura presenta spesso sviluppi inattesi.