Il Building Bridge Art Exchange a Santa Monica ha inaugurato, in collaborazione con Bice Bugatti Club Italia, la personale di Franco Marrocco, professore e direttore della prestigiosa Accademia di Belle Arti di Brera a Milano. La mostra a cura di Giovanni Iovane e Marisa Caichiolo e che rimarrà aperta al pubblico sino al 20 gennaio, espone le opere pittoriche dell’artista come retrospettiva del suo lavoro e del suo percorso artistico.
Le primissime tele di Marrocco appartengono in realtà alla fine degli anni ‘70 e da allora l’autore ha partecipato a numerosissime mostre collettive e personali non solo in Italia, ma anche all’estero. Quello di Marrocco è un piacevole ritorno a Los Angeles dopo il successo della precedente mostra “Work on Paper” tenutasi nel 2014 all’IIC e al BBAX che ora gli dedica anche una personale per far conoscere al pubblico il suo vissuto e la sua esperienza esistenziale.
La mostra intitolata “The Red Studio” nel richiamare la famosissima opera di Henry Matisse del 1911 “L’Atelier Rouge” ora al MoMA di New York, esprime l’intento di esporre opere di studio su tele di grandi dimensioni al fine di rappresentare al visitatore l’immagine più veritiera del processo creativo dell’artista.
Direttore Marrocco, come si sente e che significato ha portare le sue opere qui a Los Angeles dopo il successo del 2014 ?
Ogni qualvolta l’artista espone le proprie opere è messo a dura prova dal pubblico, ma anche dall’opera stessa, come un esame difficile ma necessario, per chi vuole fare ricerca nell’arte. In ogni caso penso che un autore debba fare altre mostre, come una sorta di continuazione per approfondire aspetti citati in precedenza. La mostra del 2014 “Work on Paper”, dove vi erano solo opere su carta, non esprimeva tutta la mia arte. Credo che la possibilità di vedere anche altri lavori con materiali differenti possa essere utile per l’osservatore per comprendere il mio lavoro nella sua interezza. Poi c’è l’aspetto emotivo e sentimentale che accompagna l’autore quando espone le proprie opere e che produce sempre una sorpresa per lo stesso. È l’occasione di sdoppiarsi da artefice a fruitore dell’opera stessa rileggendola con uno sguardo nuovo ed analitico, trovando nuovi spunti per la ricerca pittorica futura.
Dott.ssa Caichiolo com’è stata concepita l’idea della mostra the Red Studio and Other Works e su quale aspetto in particolare dovrebbe focalizzarsi lo spettatore?
La mostra nasce con l’idea di offrire una retrospettiva che raccoglie varie fasi del percorso artistico dell’autore ed è stata chiamata “The Red Studio” proprio perché è il frutto della sua ricerca personale, un percorso intimo che generalmente ogni artista tende a mantenere tale. Vuole essere la rappresentazione del tempo che Marrocco ha speso in studio negli anni alla ricerca della propria identità artistica. Durante questo suo percorso di crescita Marrocco attraverso la sperimentazione di tecniche differenti, anche nella stesura del colore, esprime le emozioni che hanno attraversato differenti momenti della sua vita dalla fanciullezza all’età adulta. Marrocco ha una tecnica incredibile veramente precisa e la sua meticolosità dà allo spettatore un senso di ordine e disciplina. Lo spettatore può vedere su tela il viaggio di un uomo e della sua arte, le sue emozioni e tutta la sua vita attraverso i suoi quadri.
Il titolo della mostra ricorda la celebre opera di Henri Matisse The Red Studio, quali tratti della pittura di Marrocco possono essere ritenuti evocativi delle opere dell’artista francese?
Questa visione appartiene principalmente al co-curatore della mostra Giovanni Iovane che ha valutato complessivamente i lavori di Marrocco compresi quelli su carta ravvisando delle somiglianze con Matisse tali da intitolare The Red Studio la mostra. Personalmente ritengo che le opere di Marrocco siano genuinamente legate a temi personali, ad esempio alcune tele richiamano momenti di gioco nella casa materna e quindi sono pure emozioni espresse tramite il colore che consentono di vedere l’artista come persona riconoscendo tutto il suo vissuto attraverso la sua crescita artistica, proprio come una retrospettiva dovrebbe fare.
Come sono stati accolti i lavori di Marrocco dalla comunità italoamericana?
È stato molto interessante poiché a differenza di altre comunità quella italiana, per la quale negli ultimi cinque anni abbiamo organizzato circa due mostre all’anno, ha dimostrato grande interesse e apprezzamento tali da registrare il tutto esaurito; quella italiana è una comunità che supporta anche gli artisti giovani e meno conosciuti che arrivano a Los Angeles.
Considera l’arte ancora un ponte tra Usa e Italia?
Penso che lo sia ancora e che complessivamente tra Italia e Usa permanga uno scambio reciproco fra tradizione e storia da una parte e innovazione dall’altra. Il linguaggio artistico italiano è differente da quello statunitense, nonostante l’arte sia un linguaggio universale, permane questa differenza in quanto rappresentativa di culture differenti. A volte l’arte italiana nel suo legame con la storia pone un limite alla sperimentazione di linguaggi nuovi. Tuttavia ritengo che questo legame delle generazioni alla tradizione artistica italiana e alle sue tecniche sia anche positivo perché aiuta a mantenere salda l’identità di un Paese ricco di storia.