L’Emilia è una regione dove tante cose buone sono date per scontate, è un po’ fuori dai grandi flussi turistici, ma ha parecchi elementi di interesse fra cui castelli, rocche, chiese, né vanno trascurate le tradizioni sociali, religiose e culinarie.
Per chi viene da Genova, la strada migliore e più breve rimane l’autostrada per Alessandria, che a un certo punto si lascia per prendere la Piacenza-Brescia. Si entra nella regione dopo aver attraversato un pezzo di Lombardia.
La prima tappa è Fidenza, patria del Parmigiano, il formaggio emblema di questa regione. Un lungo viale di ippocastani, in mezzo alla gente che si reca al lavoro in bicicletta, porta direttamente al Duomo, il monumento più importante della città, il fulcro attorno a cui nel passato si venne a formare il primo centro abitato dopo le incursioni dei barbari e la sua decadenza. Si venera San Donnino, martire decapitato per ordine di Massimiano nel 291. La cattedrale romanica è un esempio nobilissimo di quell’architettura di transizione, tra romanico e gotico, che incontreremo spesso in questo viaggio. Splendide le sculture della facciata, dell’Antelami, la Madonna e i due profeti Davide ed Ezechiele, le piccole figure allegoriche avrebbero fatto impazzire di gioia Ruskin e i due leoni ai lati danno una grande emozione. Bellissima è la cripta con il sarcofago del santo decapitato, un soldato romano proveniente dalla Gallia raffigurato con la testa in mano; in una nicchia laterale una Madonna con Bambino di Primitivo si fa apprezzare per la sua semplicità. L’architettura, elegante e proporzionata, varia tra il rosa e il grigio in un contrasto molto raffinato. Anche l’acciottolato della piazzetta davanti alla chiesa è fatto di pietre rosa e questo sarà il colore dominante durante questo viaggio: il rosa dei mattoni e della terra del posto.
Da Fidenza ci spostiamo verso Parma. Imbocchiamo il bivio per Fontanellato attraversando una piana di terra ricca, fertile e ben coltivata. I contadini in Emilia vivono bene, in grandi fattorie e quando mettono da parte il trattore, li vedi alla guida di macchine di grossa cilindrata.
Entriamo in quello che fu, fino a tempi recenti, il feudo dei Sanvitale: Fontanellato nel cuore della Food Valley. Facilmente raggiungibile grazie alla presenza dell’autostrada A1 e della via Emilia, la tranquilla e raccolta cittadina ruota attorno alla Rocca, un palazzo comitale del 1100 che le conferisce un grande stile. Circondata da un ampio fossato pieno d’acqua, la Rocca fu dapprima roccaforte ghibellina per passare nel ‘300 sotto il dominio dei Sanvitale, che la tennero fino al 1948, anno in cui l’ultimo della famiglia, il conte Giovanni, la vendette al Comune completamente arredata.
La visita agli appartamenti riserva sorprese molto interessanti: dal loggiato si accede alla sala delle armi da dove veniamo introdotti nella sala da pranzo. La guida attira la nostra attenzione sulle due “Nature morte con pesci” di Felice Boselli, in mezzo ai pesci, gli uccelli e le lepri si aggira un gatto. Nella sala delle musica troneggia una spinetta decorata con un paesaggio e la città fortificata. La camera da letto ha un sontuoso soffitto a cassettoni del ‘500 e un ritratto (sembra sia l’unico esistente) di donna Tana Santena Gonzaga, madre di San Luigi. C’è anche il ritratto di Barbara Sanvitale decapitata per aver congiurato nel 1612 contro il Duca di Parma Ranuccio I Farnese. Nel salone degli antenati, una galleria di ritratti mostra tutti i membri della famiglia a partire dal capostipite Ugo fino all’ultimo, il conte Giovanni, scomparso nel 1951 senza eredi maschi (l’unica figlia, suora, è morta nel 1974).
In alcune vetrinette sono in bella mostra cimeli di Maria Luigia d’Austria, seconda moglie di Napoleone imparentata con i Sanvitale per via della figlia Albertina, che aveva sposato il conte Luigi; ci sono i calchi funebri del suo volto e del suo secondo marito, il conte di Neipperg e degli oggetti a lei appartenuti. Da non dimenticare la Camera Ottica da cui tornare a guardare il mondo, dentro a una segreta torretta, attraverso un prisma: un gioco di lenti consente di vedere, non visti, la piazzetta e le vie del borgo.
Al piano terra la stanza delle donne equilibriste, una sala usata dagli uomini per riposarsi e chiacchierare dopo le battute di caccia, è detta così per via degli affreschi rinvenuti sotto una spessa coltre di calce disinfettante. A questo punto della nostra visita ci avviciniamo all’ambiente più celebre di tutta la Rocca, la Saletta di Diana e Atteone affrescata nel 1524 da Francesco Mazzola, detto il Parmigianino, su commissione del Conte Galeazzo Sanvitale. Il mito, soggetto dello splendido affresco, liberamente tratto dalle Metamorfosi di Ovidio, racconta di una fuga e di un incontro ed evoca la trasformazione in cervo di Atteone per aver guardato Diana nuda mentre si fa il bagno. Non si sa bene a cosa servisse in origine questa saletta circolare, se fosse un bagno o un pensatoio; si sa che fu dedicata a Paola Gonzaga, anche perché nel peduncolo centrale si fa riferimento ad un lutto che dovette sconvolgere la signora di Fontanellato: vi sono raffigurati due bambini e il più piccolo ha in mano un ramo di ciliegio simbolo di morte precoce. Qui forse la madre si ritirava per riflettere e rielaborare il lutto. Al centro della volta un ammonimento, “respice finem”, sembra voglia alludere alla gelosia del marito oppure alla necessità di guardare oltre la superficie delle cose.
Esaurita la visita alla Rocca di Fontanellato, un altro monumento poco lontano suscita curiosità. E’ il Santuario della Vergine del Rosario, interessante per la facciata neo-barocca. Lasciata la piacevole cittadina stretta attorno al suo Palazzo rinascimentale, riattraversiamo campi di mais ed immense distese di erba e terra arata prima di entrare nel dominio del principe Diofedo Meli-Lupi di Soragna, la cui dimora è costituita da una rocca che ancora gli appartiene.
Le sale del piano nobile sono arredate e decorate da Andrea Appiani, il Brescianino, i Bibbiena, Lodovico Brea. Nella pianura piacentina, vicino Alseno, si trova il più celebre monumento cistercense della regione, l’Abbazia di Chiaravalle della Colomba. Dedicata a San Bernardo, pannelli iconografici illustrano la sua vita, le sue gesta, il fervore religioso, i momenti e i personaggi che l’hanno arricchita e caratterizzata. Come non ricordare che San Bernardo appoggiò l’ascesa di uno degli ordini monastico-cavallereschi più importanti ed enigmatici del suo tempo, I Templari, ancora oggi al centro di dibattiti, studi e polemiche?
Il Monastero fu fondato secondo la tradizione nel 1136, anno in cui Arduino, vescovo di Piacenza concesse al monastero i primi beni terreni. Una colomba ne avrebbe delineato il perimetro con pagliuzze davanti agli occhi dei monaci. Così dice la leggenda. La storia ne ricorda invece l’eccidio e il saccheggio ad opera di Federico II di Svevia e la confisca dei beni da parte di Napoleone. Stupisce l’interno per l’ampiezza delle tre navate, testimonianza di un momento di passaggio dal romanico al gotico. Ma il gioiello di Chiaravalle della Colomba rimane il chiosco trecenteco: si tratta di un perfetto quadrato scandito da 96 arcatelle ogivali e ornato da 130 colonnine binate in marmo rosa di Verona con splendidi capitelli in pietra, l’uno diverso dall’altro. L’austerità dell’architettura cistercense contrasta con la ricchezza delle mensole di sostegno, i capitelli figurati, le sculture, prodigi di eleganza decorativa: un giovane monaco ci illustra con orgoglio le fini trinature franco-moresche della porta del refettorio. Nel calefactorium, un ambiente riscaldato da un grande camino, dove i monaci bianchi andavano a leggere e meditare nei giorni di grande freddo, c’è oggi la liquoreria dei monaci, che secondo la regola dell’Ora et Labora, producono liquori ed essenze di lavanda e violetta.
Passando da Fiorenzuola d’Arda, si può raggiungere Castel Arquato, borgo medioevale di grande interesse storico. La sua fondazione risale all’epoca augustea, come capoluogo di un distretto agricolo assegnato all’VIII legione. Attorno al 1200 si organizzò in Communitas, come testimonia il Palazzo del Podestà, di fronte alla Rocca viscontea che domina la valle. La Collegiata romanica, in conci di tufo ed arenaria, ha un bel portale, detto del Paradiso, e capitelli interessanti per via di sculture di tipo longobardo, con effigiati rozzi volti dall’espressione barbarica e primitiva. Un piccolo chiostro, costruito a fine ‘200, conserva un certo misticismo antico, di quando i canonici facevano vita in comune. Da qui si possono andare a visitare le Terme di Bacedasco: si trovano in mezzo a un fitto bosco, ma hanno perso un pò di interesse da quando è stato abolito il trenino che conduceva direttamente agli stabilimenti termali.