È una corsa contro il tempo e le falle dei cordoni sanitari, delle imprudenze e delle superstizioni di Paesi che non sono abituati a profilassi di prevenzione, al rischio altissimo e facilissimo del contagio.
Il virus Ebola sta prefigurando scenari apocalittici e i laboratori di tutto il mondo stanno cercando vaccini e cure sperimentali per contenere l’epidemia che dall’Africa sta entrando in Occidente. In prima fila ci sono anche scienziati italiani.
L’Istituto di ricerca biologica molecolare Science Park di Pomezia, dove ha sede la Okairos, startup italiana che dopo aver messo a punto un vaccino genetico contro il virus dell’epatite C, ha costruito una potenziale arma di difesa contro la febbre emorragica, ha prodotto le prime 10 mila dosi di un possibile vaccino. Sono tutte destinate alla sperimentazione clinica su pazienti volontari in Usa, Regno Unito e Gambia, dopo i test sugli animali.
Realizzato con tecnologia “ibrida” in grado di unire immunoterapia e terapia genica, il possibile vaccino è stato prodotto dal team di ricerca del professor Riccardo Cortese utilizzando come vettore un adenovirus modificato di scimpanzè: cioè, il virus di un raffreddore modificato. Agirebbe provocando la reazione del sistema immunitario che di conseguenza non consentirebbe all’infezione di diffondersi nel corpo.
Dopo 7 anni di ricerche, la sperimentazione sull’uomo è stata accelerata al massimo sotto il controllo dell’Oms, per far fronte all’esplodere dell’emergenza nella speranza che possa essere l’arma per sconfiggere la devastante epidemia di Ebola.
Tra fine dicembre-gennaio si potrà passare dalla prima alla seconda fase di sperimentazione.
La fase 2, se tutto andrà per il meglio, potrà essere sperimentata direttamente nelle zone infettate sia per fornire una maggiore protezione al personale sanitario che opera nei focolai di Ebola sia per contrastare il diffondersi di una malattia che ha una trasmissione molto rapida e una percentuale di fatalità del 68% tra le persone colpite.
Dopo sintomi come febbre, forte mal di testa, dolore muscolare, diarrea, vomito, dolori addominali ed emorragie, la morte può essere fulminante e sopraggiunge nello stesso periodo dell’incubazione (2-21 giorni), ovvero dal momento del contagio all’insorgenza dei primi sintomi.
Sono stati isolati finora cinque ceppi diversi del virus, di cui quattro sono letali per l’uomo.
Non esistono cure o vaccini, anche se ci sono tentativi in corso, realizzati in particolare iniettando gli anticorpi prodotti da individui colpiti dalla malattia ma sopravvissuti. Sono alla studio metodi estremamente avanzati, come la cosiddetta tecnologia antisenso o il farmaco sperimentale Zmapp, ma non si hanno ancora risultati confortanti.
Attualmente, quando le vittime vengono immediatamente idratate, nutrite e curate con farmaci antipiretici, c’è una maggiore probabilità di sopravvivenza, come è successo a due sanitari a cui è stato somministrato in via eccezionale il farmaco Zmapp, che però sono anche stati curati ad alto livello negli Stati Uniti, all’Emory University Hospital di Atlanta, Georgia, mitigando la sintomatologia della febbre emorragica scoperta nel 1976 in Congo e Sud Sudan.
Lo Zmapp, sviluppato da una società di San Diego, la Mapp Biopharmaceutical, era stato testato fino ad allora solo sulle scimmie, ma le condizioni disperate del medico missionario americano, poi ricoverato ad Atlanta, indussero ad accettare il trattamento sperimentale. Il siero però, non ha salvato un altro missionario spagnolo.
Il medico e l’infermiera americana invece, sono ora considerati immuni dal ceppo Zaire del virus Ebola, quello responsabile di questa epidemia, che ha una mortalità che può arrivare fino al 90%, ovvero uccidere nove pazienti su 10.
Il rischio che un malato di Ebola raggiunga l’Italia è attualmente stimato nel 5-10% dei casi. L’Italia non è ai primi posti, ma è nella lista dei primi 20 Paesi a rischio. Francia, Inghilterra, Belgio, che hanno collegamenti aerei diretti con i Paesi africani dove è in corso l’epidemia, stimano un rischio più alto, ma nell’ordine del 20%.