È una canzone di 62 anni fa che non solo piace ancora oggi e non mostra, come solo i classici sanno fare, la sua età reggendo bene il confronto con i gusti moderni.
Anzi, i segni del tempo, le “rughe” lasciate dagli anni trascorsi come fruscianti raschi sulle tracce dei vecchi vinili ascoltati ripetutamente, musicalmente la impreziosiscono. Ma quel che più la rende un brano di valore è la sua “lezione” linguistica e sociale, la sua doppia identità fusa in un idioma nuovo, fatto di parole che appartengono a due universi culturali differenti.
Divenne un successo nell’interpretazione vocalmente fascinosa di Dean Martin, la persona giusta al momento giusto per cantarla e renderla una colonna sonora planetaria, non solo per la voce calda e ammaliante o per il physique du rôle dell’attore dallo charme hollywoodiano.
Peculiarità del brano è la contaminazione ideata dal paroliere Jack Brooks su composizione musicale di Harry Warren della lingua inglese con alcuni termini in italiano e napoletano.
“That’s Amore”, dichiarazione d’affetto per Napoli e per le sue tradizioni come la pizza e la tarantella, da un lato contribuì a consolidare stereotipi sugli italiani e l’Italia nella visione dell’americano tipo ma anche del prototipo dell’italo-americano medio nell’immaginario collettivo (con tutto lo strascico di pregiudizi che in alcuni casi sconfinano e scadono nell’equazione italiano uguale spaghetti, pizza, mandolino e mafia).
Dall’altro racconta quella mescolanza linguistica, affettiva, sociale di cui vivono gli immigrati di ieri e di oggi, a metà strada tra due mondi, più ricchi di chi è soltanto italiano o solo americano perchè dotati di una duplice eredità culturale.
La canzone rimase indelebilmente legata alla persona di Dean Martin che bene la incarnava: nato in America da padre abruzzese, rimase sempre legato alla sua doppia carta d’identità. Una ricchezza che “suona” come una lezione di buona integrazione.