Immerso nelle nuvole fra roccia e ciuffi di verde. A oltre 2300 metri di altitudine. La civiltà abbandonata. Poco lontano dalle Tre Cime di Lavaredo sono arrivato al rifugio Fonda Savio. Nevai, uno stormo di corvi affamati e l’incanto delle Dolomiti bellunesi. La vera meraviglia però deve ancora arrivare.
Superato il comune di Auronzo di Cadore, provincia di Belluno, seguo le indicazioni stradali fino a oltrepassare il Lago di Misurina (1745 metri), pronto per conquistare il Rifugio Fonda Savio (2359 metri).
Lasciato il veicolo a ridosso di un soffice e pianeggiante spazio erboso, inizia la salita lungo il sentiero Cai 115. A farmi compagnia per tutto il tragitto c’è una funicolare con cui vengono portati i rifornimenti alimentari. Il sole non batte ancora. Nonostante sia partito in felpa e attraversi una prima parte in mezzo al bosco all’ombra, dopo neanche dieci minuti sono già in maniche corte.
Il dislivello da colmare inizia presto a farsi sentire e la fondamentale scorta di cioccolata e l’ottima acqua di fontana imbottigliata a Padola di Cadore entrano tonificanti in circolo. Continuo a salire. Il sentiero non è particolarmente duro per i piedi. Attorno a me svettano Cima Cadin, le Cime Cadin dei Tocci, Torre Wundt e il ramo del Diavolo. Ci sono nevai.
Qualche calabrone impollina. Una lumaca se ne va in passeggiata. Proseguo verso il Pian degli Spiriti. Sopra di me, nuvole molto basse formano un manto nebbioso. Uno gigantesco sperone di roccia rimanda a scenari scozzesi.
Più salgo e più la temperatura scende. Arrivato sul crinale del Passo dei Tocci distinguo il rifugio Fonda Savio. Quando già pregusto l’aroma di un tè bollente accompagnato da una succulenta fetta di strudel, le consuete indicazioni verso altre mete stimolano ogni fibra del mio essere esploratore.
Raggiunto il Fonda Savio. Non faccio a tempo a tirare fuori un corroborante panino imbottito che subito un nugolo di corvi viene a farmi visita. Da sempre identificate come creature-tramite tra il regno dei vivi e dei morti, si rivelano socievoli e affamati.
Faccio un giro completo in quota. Perlustro ogni dove. Ritrovo l’amica funicolare che tanto invidiavo quando ero all’inizio della salita. Smaltita la fatica, inizio la rilassante discesa. Un mondo capovolto dove tutto mi appare più fresco e meno stancante. Il freno è allentato. Si scende giù spediti.
Salvo l’eco di qualche passo, a dominare la scena è il silenzio. Forse anche troppo. La risposta arriva qualche secondo dopo.
Un rumore indefinito irrompe delicato e minaccioso. Come un brusio di ruscello sul punto di esplodere. Guardo frenetico tutt’attorno per scovare la fonte. Con il Fonda Savio frontale, dai Cadini di Misurina alla mia destra vedo l’impossibile prendere forma e pelliccia a poche decine di metri da me.
Un intero branco di camosci galoppa spedito dalla montagna. Forse in cerca di cibo o magari in fuga da un pericolo.
Nel mio scrutare senza fiato scorgo più lontano un altro animale che potrebbe essere un gatto selvatico. I camosci si accorgono della presenza umana e la maggior parte di essi cambia direzione. I due in testa continuano invece, finendo per attraversare il medesimo sentiero del rifugio, per poi sparire nel verde della vegetazione. Assisto con la pelle d’oca all’inarrestabile trotto di questi mammiferi dalle piccole corna nere. Neanche un minuto e di loro non v’è più traccia.
Inghiottiti nel verde montano.
Il panorama riprende il suo placido corso. Il resto del mio cammino è viziato. Non riesco a pensare ad altro. Aspetto l’arrivo di qualche gitante per condividere quanto magicamente entrato nella mia anima più materialmente visiva. Continuo a camminare.
Negli occhi di una ragazza ancora elettrizzata rivedo tutta la sincera meraviglia di quanto la Natura ci ha saputo donare.