Molte delle parole che usiamo sono di importazione. Ma fino a che punto? 
Prendiamo in considerazione il termine “computer”. Prima di arrivare a computer noi siamo passati per calcolatrice, poi calcolatore; in seguito, attraverso elaboratore e cervello elettronico, prima di chiamarlo definitivamente PC (personal computer), ci siamo fermati per qualche anno a computer. E mi fermo qui, perché tutto quello che è venuto dopo è rimasto fuori dalla mia portata, e quindi fuori dalla mia tasca. 
Personalmente mi sono fermato al “portatile” (il PC), e non mi sono ancora adattato al “tascabile”. 
 
Quindi, “computer” passa per parola inglese. 
E certamente è una voce del lessico inglese. Ma non è di origine anglo-sassone, in quanto fu importata sull’Isola dalla Francia. Come tante altre, in quella stessa determinata epoca storica. E la Francia, si sa, è di lingua romanza, cioè, come l’Italia, la Spagna e il Portogallo, ha una lingua che deriva dal latino.
“Conter” e “compter” sono infatti verbi francesi e derivano dall’unico verbo latino computare. Essi corrispondono in italiano, uno a “raccontare”, l’altro a “contare”. Quasi a dire: lingua e ragionamento, parole e numeri. Sentimento e ragione. Fantasie e certezze. 
 
Se vogliamo riferirci agli schemi scolastici: lingua materna e matematica. E come si diceva una volta: “leggere, scrivere e far di conto”.  Ancora: classico e scientifico, scienze umane e scienze esatte. E qui rischiamo di non finirla più. Col pericolo di aprire la vexata quaestio (cioè la tormentata questione), l’eterna controversia. Stando alla scelta linguistica, che possiamo desu-mere dall’origine etimologica del verbo “computare”, sembrerebbe che i Romani avessero superato (o probabilmente mai assolutamente sollevato) se è vero che l’originario latino “computare” significa esattamente le due cose, indifferentemente. 
 
Infatti computare è formato da cum+putare. Puto è il verbo che ha alla radice l’idea che noi esprimiamo col verbo reputare (ritenere, stimare, valutare) rafforzata dalla preposizione cum (insieme), che indica la complessità del giudizio o più probabilmente la molteplicità delle soluzioni possibili.
Computare quindi è: contare e calcolare; ma anche leggere e raccontare. In ultima analisi “valutare attentamente e giudicare”.
 
Ma per restare dentro la lingua italiana che a noi, parlati competenti, più facilmente potrà mostrare l’evidenza di certe comparazioni semantiche, (cioè, ci consente più agevolmente di raggiungere la sospirata trasparenza) vediamo quante parole derivano dal verbo computare (o compitare, una variante che col tempo si è specializzata, spostandosi di significato). E in quale area semantica esse si trovano.
Oltre ai generici “contare” o “il conto”, vi sono computisteria, contabile, contabilità. Mentre compitare (che va a significare: leggere in maniera sostenuta puntualizzando sillaba per sillaba) contempla “compito” e “compitazione”, e accoglie nella sua specifica area semantica anche “racconto”.
 
Per finire una spiegazione anche della parola “calcolare” che noi usiamo come corrispondente del latino “computare”. Calcolare deriva da calculum, che significa pietruzza o più esattamente “piccolo calcare”. (Proprio come i calcoli della cistifellea!)
 
Perciò la parola “calcolare” nasconde la prima idea del computer, cioè quella di un ragionare con l’aiuto di un “mezzo materiale”, direi quasi meccanico, le pietruzze. Il pallottoliere primitivo. La prima macchina calcolatrice. Il primo cervello artificiale, a cui affidare la memoria elementare delle primitive ope-razioni di calcolo aritmetico.
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