Milano ha fra i suoi obiettivi quello di voler essere una città internazionale, dove le culture si incontrano, posso confrontarsi, arricchirsi e poi diventare forse qualche cosa di diverso. Questo fa sì che possano verificarsi alcune manifestazioni ed iniziative che sottolineino la tendenza meneghina all’interculturalità e alla globalizzazione.
A conferma di ciò si è tenuta a Milano la mostra intitolata “De Rerum Mirabilia”. Nata non solo come esposizione, ha inteso essere un progetto frutto della collaborazione di tre artisti italiani (Elena Lombardi, Matteo Bagolin e Stefano Giglio) e nove giapponesi (Yumiko Murata, Hitomi Iwasaki, Yoshiko Oshima, Kazue Yamamoto, Hiroko Hatabu, Sanae Nakata, Hiroko Nakano, Rie Miyatake, Yuria Nishi), guidati dalla comune volontà di creare una sorta di dimensione naturale irreale, attraverso la lavorazione della ceramica e di materiali che si trovano in natura.
Questo evento è stato appoggiato dall’Asian studies Group nato nell’ottobre del 2007 come gruppo di studio e di ricerca specializzato sull’Asia orientale (in particolare su Cina, Giappone e Corea), e fa parte del contest internazionale Switch on your creativity, il cui obiettivo primario è la comunicazione fra le varie culture. Ancora una volta l’arte si pone come terreno neutrale dove la creatività e l’espressione hanno possibilità di sviluppo e dove i confini, come ogni barriera, diventano futili limiti delle società, che rimane esterna a questo ambito.
Il titolo latino della mostra allude all’opera De Rerum Natura di Lucrezio, poeta e filosofo romano del I secolo a.C. anche se la serie di opere esposte ha celebrato un universo vegetale irreale attraverso quella sensibilità giapponese che incorona la Natura come protagonista indiscussa dell’estetica e che vede racchiusa in essa una sacralità.
La mostra, ospitata alla fondazione Matalon, a due passi dal Duomo di Milano, ha voluto essere una celebrazione di un universo da scoprire. La protagonista narrata è la Natura, che attraverso l’estetica, sottolinea la sua sacralità. Questo tema è stato ben rappresentato dal lavoro del maestro Shogoro Nomura e dai suoi allievi. L’opera “Le dee dimenticate” ne è stata un esempio lampante. I vasi in ceramica, esposti in bacheche di vetro, contenevano le dee dell’arte che sono state sotterrate e dimenticate dall’uomo. Un esempio è Calliope, dea della poesia epica. In questo caso l’estetica acquista un significato metaforico: la terra in cui sono state sotterrate queste divinità, altro non è che la nostra memoria più recondita, che le rievocherà facendole riaffiorare alla luce.
Al fianco degli artisti giapponesi, che hanno confermato la loro bravura tecnica e una particolare sensibilità nella lavorazione dei materiali, la mostra ha ospitato il gruppo Collettivo C13, un insieme di artisti italiani amanti della lavorazione della ceramica. Questi artisti si sono uniti nel 2013 per sperimentare la lavorazione dell’argilla, mescolando nuove e antiche tecniche. Ancora una volta la materia è stata reinterpretata acquisendo un nuovo significato.
Il primo incontro tra artisti italiani e giapponesi avvenne a Padova in maniera casuale. L’occasione fu la mostra “Ad Est di nessun Ovest” che diede il via ad un percorso ricco di scambi. Ma si può realmente affermare la casualità di un evento tale?
Per il gruppo Collettivo C13 l’approccio alla materia non vuole avere un’associazione con il concetto di design, bensì con l’artigianato artistico, che sottolinea sia la creatività che l’importanza della tecnica. Ogni oggetto esposto è il risultato di un percorso preciso che analizza l’interiorità a la pratica realizzativa. Stefano Gigli, ad esempio, utilizza il bucchero, ovvero un’antica arte etrusca la cui superficie nera dell’argilla era ottenuta inserendo il pezzo lavorato in un forno e riducendo la presenza dell’ossigeno: questo permette alla materia di diventare da rossa a nera.
Elena Lombardi e Matteo Bagolin interpretano e realizzano opere con la maestria e la tecnica di chi sa trasformare la ceramica in arte, mostrando al contempo di avere l’abilità dell’artigiano. I loro pezzi racchiudono l’eleganza, l’armonia e la contemporaneità che allontana la ceramica dal prototipo del materiale usato più a scopi pratici che creativi.
La mostra ha determinato una delle tappe di questo percorso tra le due scuole italiana e giapponese e siamo certi che presto sentiremo parlare di loro e delle loro nuove interpretazioni.