Valdelsa. Italia rurale. Toscana cortese. Provincia fiorentina. Un mondo circondato dalla Val di Cecina, il Valdarno, la Val di Merse e le prime propaggini delle colline del Chianti. Al centro di quest’area, la piccola Certaldo, dalle antiche origini etrusco-romane. Patria di una delle più grandi penne della letteratura italiana, Giovanni Boccaccio (1313 – 1375).
Anche se la giornata è uggiosa, l’arrivo a Certaldo è piacevole. L’erba bagnata tramanda sentieri di boschi poco lontani. Ma ad attirare la mia curiosità, c’è la chiesa di San Tommaso, inaugurata nel 1885, e situata nella piazza Boccaccio dove si affaccia anche il Municipio, e una statua del celebre scrittore sotto la quale troneggia una lapide in memoria dell’illustre concittadino. Il monumento in memoria del letterato è solenne. Tiene un libro nella mano sinistra. La destra sembra quasi un invito a dargli la mano. Un invito alla conoscenza. Un gesto lieve ma deciso. L’espressione è fiera, quasi guardinga. Abbastanza simile a quella realizzata nel portico della Gallerie degli Uffizi, a Firenze. La differenza è proprio nelle mani. Destra col libro, sinistra aperta.
Come per molte realtà della futura Italia, anche Certaldo conobbe alterne fortune in epoca medievale. Tuttavia, dopo essere divenuta sede di uno dei tre Vicariati in cui si suddivideva amministrativamente la Repubblica fiorentina e trovandosi lungo l’importante arteria economica-culturale della via Francigena, verso la fine del XV secolo divenne il centro più importante di tutta la Valdelsa.
C’è poca gente in giro. Lassù intanto, sulle colline tutt’intorno a Certaldo, la vita di campagna prosegue senza le frenesie del poco lontano capoluogo toscano.
Abbandono la realtà più moderna della città e inizio a dirigermi verso il Borgo Antico, in attesa di scoprire le meraviglie di Palazzo Pretorio, gli affreschi e la stessa casa del Boccaccio. Snobbata la comoda funicolare, prediligo la salita a piedi che mi consente di godere dell’intera panoramica della cittadina, fino a quando un muro del borgo con un cartello, mi annuncia l’ingresso in questa nuova realtà. Passo per la Porta degli Alberti, famiglia feudale toscana, di cui alcuni e diversi membri furono citati da Dante Alighieri in tutte le tre cantiche della Divina Commedia.
Mi muovo leggero, silenzioso. Antiche vie. Ere passate. Un piccolo pozzo i cui addobbi floreali esterni richiamano ad esprimere qualche desiderio, magari gettandovi dentro qualche “fiorino”. Sono dentro un piccolo mondo concentrato. Non serve la finzione di una telecamera per immaginare come dovesse essere la vita da queste parti nel Medioevo. Presto abbandono ogni segnalazione e seguo l’istinto. Eccomi arrivato nell’antica chiesa dei Santi Filippo e Giacomo, un mix di romanico e gotico. Un tempo faceva parte di un grande complesso architettonico comprendente un chiostro e un convento. Per la sua fondazione furono utilizzati i resti di una precedente struttura in pietra, mentre il campanile sembra essere più antico. Non sono molti i documenti pervenuti di questo edificio, le cui attuali strutture risalgono al XIII secolo. Ed è per queste stradine, che ogni mese di luglio va in scena Mercantia. Un festival delle arti di strada che richiama artisti e turisti da tutto il mondo. Vivere questo appuntamento significa scoprire dentro di sé passioni creative che cercano il cunicolo giusto per manifestarsi. Musiche. Recite. Declamazioni. Un mondo globale e nomade riunito entro le antiche mura di Certaldo.
Tocca poi a Palazzo Pretorio, la cui superficie muraria è tutta costellata di stemmi e targhe in pietra e marmo, ognuno dei quali rappresenta l’arme della famiglia a cui apparteneva il Vicario che li ha fatti apporre. Tra di essi spuntano alcuni usciti direttamente dalla bottega dei Della Robbia. Le prime notizie di questo importante edificio risalgo al lontano 1164. L’interno è un trionfo di arte. Porte in pietra serena. Soffitti a volta. Gli affreschi con stemmi rappresentanti le 24 podesterie soggette al Vicariato. Il crocifisso fatto dipingere da Tommaso Portinari nel 1578. Davanti all’ingresso della Sala delle Udienze si trova la Pietà dipinta nel 1484 al tempo di Alberto Alberti, sembra da Pier Francesco Fiorentino, prete e pittore. Come in un piccolo labirinto, si può entrare nelle celle per gli imputati di colpe civili. Nella più grande di queste ultime, sulla copertura a volta c’è una curiosa scritta “O come mal la discorresti amico quando mettesti il pé drento a la soglia poiché l’uscita non sarà a tua voglia Giambadia il sa e per questo te lo dico”. Un ammonimento, che si ritrova con parole diverse anche in altre sale dello storico palazzo.
Come un felino, sgattaiolo sulle mura. L’altezza e le repentine vertigini fanno sobbalzare. Scruto il più possibile da lassù in cima, ricercando gli eterni scontri tra guelfi e ghibellini. Per qualche minuto mi sento come un podestà. Signore assoluto dell’antica Certaldo.
“Certaldo – scrisse Giovanni Boccaccio – come voi forse avete potuto udire, è un castel di Val d’Elsa/posto nel nostro contado, il quale, quantunque picciol sia/, già di nobil uomini e d’agiati fu abitato”.