Un ipnotico teatro del macabro e dell’orrore, un affascinante contenitore di fantasmi, di storie di sangue e tradimenti. E una posizione strategica unica. Tutto questo si condensa nella storia della Rocca di Fumone, dalle origini oscure e antichissime.
Sul fronte dei misteri che circondano il Castello si racconta che ancora oggi di notte dai sotterranei provengano le urla e i gemiti di dolore dei condannati a morte, le cui anime sarebbero rimaste intrappolate all’interno. Come il monaco murato vivo chissà dove e mai ritrovato. Si dice anche che i resti di Gregorio VIII siano stati occultati in qualche intercapedine della costruzione e che persino Celestino V, celebre per il gran rifiuto di cui parla Dante, primo Papa della storia che rinunciò alla tiara, sembra sia stato assassinato proprio lì per ordine di Bonifacio VIII tramite un chiodo conficcato nel cranio. Si narra anche che poco prima della morte fu vista una croce splendente davanti alla sua cella e che da allora si sentirebbero battere colpi alle pareti, forse a perenne ricordo del terribile supplizio subito.
Nel castello esiste anche un altro luogo misterioso: è il cosiddetto Pozzo delle Vergini.
Si tratta di un pozzo stretto e profondo dove pare venissero gettate le donne appena sposate che non giungevano vergini sul letto del crudele e perverso castellano la prima sera di nozze. Le donne erano sottoposte a questa pratica per via dello Ius Primae Noctis. Se il padrone riteneva che non fossero vergini, le gettava nel pozzo e nel borgo si udivano le loro urla strazianti.
In epoca ben più recente la Rocca fu teatro di una spaventosa vicenda: nell’Ottocento il piccolo Francesco Longhi, unico figlio maschio dei marchesi Longhi ed erede della loro fortuna, sembra sia stato assassinato dalle invidiose sorelle che lo uccisero a poco a poco somministrandogli tutti i giorni dei pezzetti di vetro nel cibo. Il bambino morì tra atroci sofferenze a soli 5 anni. La madre, impazzita dal dolore, ordinò l’imbalsamazione del piccolo. La tecnica di imbalsamazione rimase oscura anche perché il medico che la praticò morì subito dopo in circostanze misteriose. Nel castello si aggira così, anche il fantasma di Emilia Caetani Longhi. Sembra si faccia spesso “sentire” mentre si reca di notte a trovare il suo piccolo Francesco e a consolarlo.
L’inconsolabile marchesa fece ridipingere tutti i ritratti, togliendo le immagini di gioia: in un dipinto indossava una collana, poi fatta coprire e un abito bianco, che venne fatto dipingere di nero. Oggi è possibile vedere la mummia del bambino esposta al pubblico in una teca di cristallo fra arazzi e mobili d’epoca.
Al di là di questo macabro, affascinante teatro di storia, orrori e leggende, il Castello di Fumone sovrasta un piacevole borgo in salita tra case medievali e botteghe, i cui abitanti conservano con amore le antiche tradizioni, fieri di un passato che ha visto il paese al centro di tutto il territorio laziale.
Il Castello di Fumone fu infatti il più importante punto di guardia del Lazio meridionale, nato come fortezza militare nel XI secolo. Dalla Rocca si possono ammirare ben 45 comuni, dai Castelli Romani verso nord, alla pianura di Cassino e ai Monti Aurunci verso sud. Quando venivano avvistati dei nemici, dall’alto di una torre oggi scomparsa i militari avvertivano la popolazione e i paesi circostanti con dei segnali di fumo, da cui il nome Fumone. Inespugnabile, perfino Federico Barbarossa e il figlio Enrico VI tentarono vanamente di conquistarla, la Rocca venne usata per più di 500 anni sia come luogo di segnalazione a guardia del territorio che come terribile prigione pontificia per illustri personaggi.
Oltre a quelli già menzionati, nel 1116 venne rinchiuso il prefetto di Roma Pietro Corsi e nel 1124 l’antipapa Maurizio Burdino avverso a tre Pontefici, Pasquale II, Gelasio II e Callisto II. Fu quest’ultimo a sconfiggerlo e relegarlo nel carcere di massima sicurezza di Fumone.
Gregorio IX riuscì a farsi aprire le porte dopo mesi di vano assedio, ma solo dietro pagamento di un forte riscatto. Nel 1584 Giovanni Longhi, patrizio romano discendente di Bonifacio VIII, acquistò la Rocca e iniziò un’importante opera di ristrutturazione e abbellimento culminata nella realizzazione di un giardino pensile di 3500 metri quadrati, il più alto d’Europa con i suoi 800 metri di straordinaria importanza strategica, a dominio sull’intera valle del Sacco e della strada maestra che collegava Roma e Napoli: la via Latina.
A conferma della posizione chiave, un rimando d’obbligo va all’invasione di Annibale. I Romani se ne servirono quando il generale cartaginese, stabilitosi a Capua (area visibile dal castello), decise improvvisamente di puntare su Roma marciando attraverso la via Latina, che dal castello è visibile per un tratto di 50 km.