Esaminiamo la parola “caso/casi”, utilizzata per indicare le possibili forme del nome,  del pronome e dell’aggettivo, laddove ne esistono più di una. Cosa sono i casi quando si studia la grammatica di una lingua? E che significato ha la parola “caso” al di fuori della grammatica, nell’uso più generale, nella sua primitiva accezione, e, quindi, nella sua origine etimologica?
 
Nel primo “caso” (ecco una situazione comunicativa in cui ricorre la parola che stiamo esaminando, usata non come termine tecnico, ma come parola comune), la parola significa una delle forme (voci) di una parola flessiva di tipo nominale (nome, pronome, aggettivo), forme diverse in ragione del loro rapporto col verbo (per quelle lingue che hanno – o avevano – conservato  la declinazione, come la tedesca oggi, e il greco e il latino nell’antichità). 
 
Nelle lingue classiche (greco e latino) il nome, l’aggettivo, il pronome presentano varie forme (morfemi); cioè modificano la desinenza (la parte finale della parola) mentre se ne pratica l’uso. Questa capacità o possibilità si chiama “declinazione” (piegamento, adattamento). E l’insieme di tutte le possibili voci della declinazione di una parola va a formare uno schema che si chiama paradigma.
 
Il paradigma si definisce proprio: l’insieme di tutte le forme di una parola flessiva (cioè che ha la proprietà di potersi declinare; vale a dire che viene usato con più di una forma. Ciò fa sì che il nome, l’aggettivo, il pronome si definiscano “parole declinabili” o flessive, e, a seconda della situazione comunicativa in cui sono inserite, esse possono assumere l’una o l’altra forma (cioè, cambiano la parte finale). Tutte queste possibilità danno appunto “i casi”.
 
Nel secondo caso, quello del linguaggio comune, “caso” è “una situazione particolare unica e originale”, da cui nasce poi la parola casistica (= insieme dei casi: le situazioni, o constatate o possibili). E “caso” è anche il caso: “ciò che capita in maniera imprevista”, cioè “ciò che accade”, o meglio “che cade” (dal cielo?). Da cui nasce invece la parola “casuale”, usata in questo testo, e che significa “che segue il caso”, soggetta al caso.
 
Oppure è “il fatto eccezionale” che diventa in maniera emblematica simbolo di un avvenimento, di un fenomeno, di un comportamento. E può essere anche “l’avvenimento aleatorio”, o addirittura l’imprevedibilità del destino, o il destino. Vedete quante cose?
 
Sollecitati da questa gamma di accezioni (cioè la serie di possibili significati), cerchiamo di vedere se è possibile ricondurli ad un unico significato di base riconoscibile nella parola latina da cui deriva “caso” (quello che si dice etimo). 
 
Essa è “casus” che significa caduta (dal verbo cado/càdere); e quindi: caso, accidente, occasione, evento, eventualità, circostanza. 
Da cado derivano:  caso (dal sostantivo casus; “caduta”), accadere (“cadere verso”), accidente (participio presente: significa “che cade verso di me”), incidente (participio presente: che cade dentro un tempo o un luogo), occidente (participio presente: significa “che cade in avanti”), occaso (parola poetica per dire tramonto: “caduta in avanti”), occasione (caduta, già con valore metaforico).
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