Una cerimonia dal significato importante quella che a Roma ha visto il battesimo della nuova unità operativa delle Nazioni Unite. Per la prima volta, su impulso dell’Italia, cosa di cui dovremmo essere estremamente orgogliosi, è stata formata una task force a difesa del patrimonio culturale. Il suo nome sarà “Unite for Heritage” e i suoi componenti lavoreranno per difendere la straordinaria ricchezza che i secoli ci hanno lasciato in eredità.
I cosiddetti “Monuments Men” si formeranno a Torino che già ospita lo Staff College dell’Onu. Il primo nucleo di specialisti, perfettamente addestrati, è composto da trenta Carabinieri e altrettanti storici dell’arte, studiosi, esperti dell’Istituto centrale del restauro e dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, dell’Istituto centrale per la Conservazione e il restauro del patrimonio archivistico e librario e dell’Istituto centrale per il catalogo e la documentazione.
“Unite for Heritage” non entrerà in azione sui fronti di guerra, non sarà impiegato, anche se lì servirebbe, per difendere siti archeologici come Palmira dalle distruzioni a scopo propagandistico. Interverrà invece, su specifica richiesta dell’Onu, in situazioni di gravi crisi civili come poteva essere il terremoto dell’Aquila per affrontare emergenze legate al patrimonio oppure per verificare i danni legati a un conflitto, ma solo dopo la sua conclusione o il ritiro delle truppe.
Un aspetto forse troppo spesso sottovalutato, ma per il quale la task force intende essere un’arma di difesa, è proprio il contrasto al traffico illecito dei beni culturali come fonte di finanziamento tanto delle organizzazioni terroristiche e criminali come degli speculatori di turno.
Fenomeno questo, di cui l’Italia da troppo tempo è vittima illustre. Ce lo testimonia anche la recente restituzione della Testa di Ade a Morgantina, il “Barbablù” del Getty Museum, che con una cerimonia di riconsegna il Console Generale d’Italia a Los Angeles, Antonio Verde, ha ufficialmente riportato a casa. La presenza americana del reperto era il risultato di un furto.
Il punto è culturale: i beni artistici, archeologici, monumentali, non rappresentano solo il patrimonio del Paese di appartenenza, ma dell’umanità intera. Difenderli “insieme” deve diventare un obbligo operativo, non solo morale, per la comunità internazionale considerato che molti Paesi non solo hanno iniziato a sentire come emergenza il contrasto ai “tombaroli”, al “mercato nero dell’arte” o ai distruttori dei tesori storici (che peraltro sono anche fonti turistiche particolarmente redditizie), ma hanno convenuto sulla necessità di rafforzare la collaborazione internazionale.
L’Italia, abbiamo detto, è stata la promotrice di questi “Caschi blu della cultura”.
L’Onu ha riconosciuto il protagonismo dell’Italia in un campo dove brilla da anni l’azione di contrasto portata avanti dal Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, vera eccellenza nazionale (è merito loro se Barbablù è tornato in Sicilia).
A Vienna, la prossima primavera, in occasione della pubblicazione delle Linee guida contro il traffico di beni culturali redatte dall’Italia e approvate dall’Assemblea dell’Onu, sarà presentato il “modello italiano” per il contrasto al traffico illecito dei beni culturali e l’azione svolta dal nostro Paese per la protezione del patrimonio culturale.
C’è motivo di grande soddisfazione ma ci deve anche essere un impegno concreto. L’Italia ha un patrimonio ingentissimo di ricchezze artistiche che, senza patire guerre o cataclismi, è spesso abbandonato al suo destino fatto talvolta di “sparizioni” su commissione ma fin troppo frequentemente di deterioramento, degrado, speculazioni, incuria. Pompei è solo la punta dell’iceberg di un atteggiamento pessimo.
“A Nation stays alive when its Culture stays alive, una nazione è viva quando è viva la sua cultura”. Lo slogan dei Caschi Blu della Cultura dovrebbe essere fatto proprio da ciascuno di noi: solo così potrà davvero iniziare a tradursi in pratica ovunque.