Qualche giorno fa, a proposito della mia attività di studio i cui risultati vado producendo in questa rubrica, mi è capitato di dover rispondere ad un amico il quale mi chiedeva perché, nella ricerca etimologica su di una parola napoletana da me pubblicata, non avessi considerata un’altra ipotesi, diversa dalla mia, che a lui sembrava più felice.
La mia soluzione appariva vaga e cervellotica, mentre la sua poteva sembrare più naturale al fenomeno che si voleva spiegare, tale che la parola meglio, secondo lui, si sarebbe adattata al senso pratico dell’oggetto denotato.
Non potendo riassumere i principi, le regole, le leggi, le metodologie, le scuole, e tutto il resto, che sono alla base dello studio della linguistica o che vi ruotano attorno, tutte cose che in qualche modo utilizziamo nella ricerca etimologica, ho dovuto giustificarmi, dicendo che nel fare la ricostruzione della storia di una parola per tentarne il recupero dell’originario significato, passando attraverso le successive modificazioni e tutti i cambiamenti fono-morfologici e semantici, mi servo, in aggiunta al modesto patrimonio che mi resta delle conoscenze professionali, oggi, sempre di più, della consultazione di testi teorici e di vocabolari.
Ora però devo aggiungere, a scanso di equivoci, che non parlavo di Vocabolari Etimologici, i quali, altamente specialistici, danno già la risposta, anche se, come in tutte le discipline, non sempre è quella definitiva, a tutte le parole di una lingua, a parte pochissimi lemmi (pochi in relazione alla stragrande vastità del patrimonio lessicale preso in esame) che vengono dichiarati di origine incerta.
Io parlo dei normali Dizionari per studenti o per famiglie, i quali hanno l’abitudine di indicare la parola originaria, latina o greca o anche di altre lingue moderne. Così nulla toglie che chiunque possa verificare personalmente, con un po’ di impegno e tanta buona volontà, prima di avventurarsi in un percorso di difficile frequentazione.
Poi, però, a conforto di ogni ipotesi di lavoro o delle soluzioni ritrovate, devo ricercare delle attestazioni documentarie delle fasi di trasformazione siano esse morfologiche o semantiche; perciò, tante letture orientate a definirne i contesti linguistici, sociologici, storici, e culturali che hanno influito sul mutamento.
La stessa metodologia ho applicato nella ricerca etimologia della parola Carosello (napoletano: Carusiello).
Mentre carusiello è viva nella parlata napoletana, la forma italiana carosello è un termine opaco introdotto nella lingua a prescindere dai suoi più antichi significati. Quasi una parola dotta se penso a come essa sia stata adottata per indicare la rinomata, e oggi quasi proverbiale, trasmissione televisiva che ad una certa ora della sera dava l’avvio ai programmi, agli albori delle emissioni televisive in Italia. Creava lo stacco tra la fascia oraria dell’informazione e il resto della serata destinato agli spettacoli di fiction artistico-letteraria o a quelli definiti “leggeri” e “di evasione”.
Nel breve spezzone teletrasmesso si faceva pubblicità in forma piacevole a prodotti commerciali. Metafora di un “carosello” d’altri tempi in cui si cimentavano le case produttrici. In effetti questo, a parte il traslato metaforico, è l’unico significato della parola carosello (in italiano): quello di una corsa sfrenata e disordinata di soggetti, cavalieri o mezzi meccanici. Oggi “carosello” o “carosello storico” è l’annuale giostra dei carabinieri a cavallo nell’ippodromo di piazza di Siena di Villa Borghese a Roma. Ed è anche, per analogia, il turbinio di vetture della polizia o dei carabinieri quando si danno all’inseguimento.
Invece il carusiello napoletano (da cui è venuto il significato “carosello” come gara storica di giovani valletti) mantiene le sue originarie accezioni in base ai diversi referenti che denota il “piccolo caruso”: la piccola testa rasata, o, per traslato, il salvadanaio di creta.
Negli anni ‘50, uno dei primi film a colori in cui si rappresentava attraverso una serie di canzoni la vita animata del popolo napoletano, si chiamava appunto Carosello Napoletano (1954). Alla metafora della vivacità del popolo si sovrapponeva la sequela delle canzoni che la descrivevano.
Oggi si direbbe commedia musicale. Per cui non si capisce se il “carosello” doveva essere la vita movimentata oppure la rassegna delle canzoni nelle quali essa veniva sintetizzata.