La popolazione degli Arii (India), oltre 5000 anni fa, ne svilupparono la tecnica. La sua produzione venne descritta in una placca calcarea dell’epoca numerica (4500 anni fa) che oggi è conservata nel museo di Baghdag. Il Vecchio Testamento lo cita più volte.
I Romani lo usavano come pomata cicatrizzante e Plinio il Vecchio, nella sua “Naturalis Historia” lo descrisse come un alimento raffinato dei popoli barbari, capace di distinguere le famiglie nobili da quelle povere.
È una storia antichissima, quella che lega il burro alla vita dell’uomo. E che curiosamente, nell’area mediterranea, lo pone spesso in antagonismo con l’olio d’oliva, sfidandolo tra le pentole e nelle diete e distinguendo spesso gli usi “settentrionali” da quelli “meridionali”.
Il 15-18% di acqua, l’80-84% di grasso, lo 0.4-0.8% di proteine, lo 0.5-1% lattosio, lo 0.1-0.2% Sali. È questa la composizione di un alimento che l’industria latteario-casearia italiana considera ancora oggi la cenerentola della produzione nazionale e che però in Norvegia, sul finire del 2011 fu capace di scatenare una vera e propria crisi da astinenza, con il prezzo salito alle stelle e i panetti di burro importati clandestinamente.
Derivato dal latte ricavato dalla panna mediante procedimento di sbattimento, il burro in realtà accompagna da sempre i popoli allevatori del Mondo.
In Italia apparve con il nome di “botiro”, in un trattato di cucina del XIII secolo e per molto tempo rimase un prodotto di lusso. Divenuto condimento della pasta nel XV secolo, il burro riuscì a superare le costrizioni ecclesiastiche medievali e veniva apprezzato come un grasso di quaresima e nel Quattrocento conquistò la cucina delle famiglie nobili meridionali.
Difficile da acquistare e da conservare, il burro divenne prodotto di alta nicchia cui non potevano rinunciare le famiglie in vista delle città del Sud della Penisola, dando ancora una volta vita alla secolare contrapposizione con l’olio d’olivo.
L’Italia del XXI secolo non è più terra di scontro tra burro e olio d’oliva.
Oggi i due alimenti hanno trovato la giusta collocazione negli usi alimentari, con il burro proteso a conquistare sempre nuovi adepti. Le ultime indagini registrano una quota più alta di consumatori di burro nelle regioni meridionali dell’Italia (81,6% della popolazione contro il 76,8% di media nazionale) mentre nel Nord vi è la maggior percentuale di italiani che hanno rinunciato al burro (27,5%).
Sono però sempre i consumatori settentrionali a usare con più frequenza questo condimento durante la settimana. E nell’ultimo decennio la quota degli italiani che apprezza il burro è arrivata al 47%: 15.7 milioni di italiani aventi tra i 15 e i 70 anni.
Una bella rivincita per un condimento considerato spesso un sottoprodotto della produzione del formaggio di tipo grana, nonché la cenerentola della filiera lattearia.
A concorrere a tale valutazione è stata la metodologia di lavorazione del prodotto. La produzione dell’alimento, in Italia, avviene ancora in gran parte per affioramento (burro da casone) e non per centrifugazione, macchiandosi di un peccato cui ora l’industria italiana sta iniziando a porre rimedio, complice proprio la rivalutazione alimentare del prodotto, le cui proprietà, usate nel giusto dosaggio, possono esaltare quella cucina italiana sempre più protagonista nel Mondo.
Relegato per molti italiani nei piani bassi dell’offerta commerciale, il burro nel 2009 ha registrato un’inversione di tendenza e l’aumento di consumo (che ha oltrepassato le 39mila tonnellate annue). Ha trovato l’industria pronta a concentrarsi sul miglioramento organolettico del prodotto. Stanno così nascendo diverse proposte commerciali che propongono burro di qualità migliore (seppur realizzati in gran parte con la tecnica dell’affioramento) e si stanno affermando i burri realizzati con la tecnica centrifuga determinando la prima vera risposta forte allo strapotere del marketing europeo (danese, tedesco, francese su tutti).
Considerato da oltre 10 milioni di italiani un prodotto con evidenti benefici psicologici (antistress e ansiolitico) il burro italiano ha conquistato anche le vette del gusto mondiale.
Il marchio Occelli, figlio di una produzione che ha sede nelle Langhe piemontesi, ha conquistato i critici del giornale “The Guardian” che lo hanno eletto il miglior burro europeo (primo tra i 5 migliori burri europei) mentre il “Wine Spetactor” lo ha impalmato miglior prodotto negli Stati Uniti (primo tra 13 concorrenti). Un risultato esaltante per la piccola grande Italia del burro.
Sostanza alimentare grassa, compatta, ricavabile dalla crema di latte, in prevalenza di bovini (vacca e bufala), il burro è ricco di sali e vitamina A ed è un alimento molto energetico. Il suo elevato contenuto di colesterolo fa sì che l’uso debba essere sempre moderato e che si eviti di friggerlo. Solo 100 grammi di burro forniscono 758 calorie.
Il burro per essere di buona qualità deve avere un aspetto u-niforme compatto e lucido. Non deve contenere quantità eccessive di acqua evidenziabili dalla formazione di gocce durante il taglio. Il colore è bianco d’inverno e tendente al giallo d’estate, per la diversa alimentazione delle mucche.
Va conservato in frigorifero a 5-6°C, perfettamente chiuso, per non più di 3-4 settimane (mentre nel freezer può essere conservato anche per un anno) per evitare che irrancidisca o che assorba odori sgradevoli.
A seconda delle modalità di ottenimento della crema di latte si distinguono il burro di casone, prodotto con crema di affioramento, e il burro di centrifuga, prodotto con crema di centrifuga; il burro di centrifuga, la cui fermentazione è stata studiata razionalmente, viene chiamato burro di cremeria o da tavola. La crema di affioramento è quella che si stratifica spontaneamente sul latte lasciato a riposo.
Durante la separazione dal latte, la crema subisce una relativa fermentazione (maturazione), per cui si può procedere alla sua burrificazione; tale crema viene utilizzata nei sistemi di produzione artigianale.
Nei sistemi industrializzati si usa la crema di centrifuga ottenuta sottoponendo il latte a un rapido movimento di rotazione (centrifugazione) mediante macchine scrematrici; in tal modo si ricavano maggiori quantitativi di crema non fermentata.
Il latte separato viene detto magro. La crema fresca di centrifuga non può essere subito utilizzata perché non fermentata e quindi troppo dolce, pertanto viene prima pastorizzata (90-95 ºC per 30 minuti, evitando il contatto con l’aria per non indurre fenomeni ossidativi) per essere resa sterile, poi raffreddata velocemente in scambiatori a piastre.
A seconda della temperatura adottata durante la refrigerazione, il burro acquisterà una diversa consistenza: temperature di 6-7 ºC inducono una maggiore plasticità, temperature superiori, intorno ai 12-13 ºC, favoriscono la formazione di un burro più morbido e spalmabile.
La crema viene sottoposta alla maturazione artificiale (per distinguerla da quella che si verifica naturalmente nelle creme ottenute per affioramento) in vasche in acciaio inossidabile a doppia parete: questa fase può durare dalle 10 alle 24 ore, con temperature di 15 ºC in inverno e 20 ºC in estate.
In questa fase vengono aggiunti batteri lattici (Streptococcus lactis, cremoris, diacetilactis) i quali operano la trasformazione del lattosio in acido lattico e contribuiscono anche alla formazione di sostanze (per esempio diacetile) responsabili dell’aroma finale del burro.