“… Da una parte c’è l’alba e dall’altra il tramonto. Piacciono i tipi con fisionomie precise. Facce da amare e da odiare, e non ci si stupisce che il Cristo parli e che uno possa spaccare la zucca a un altro ma onestamente; però, cioè senza odio e che due nemici si trovino alla fine d’accordo nelle cose essenziali”.
Così soleva parlare lo scrittore-giornalista Giovannino Guareschi (1908-1968) dei suoi più iconici personaggi, il parroco reazionario Don Camillo e il sindaco comunista Giovanni Bottazzi detto Peppone, classe operaia di sfondamento, deciso a lanciare la rivoluzione proletaria nell’Italia del Dopoguerra.
Ambientata nel comune agricolo di Brescello, nella provincia di Reggio Emilia, la storia fu portata sul grande schermo in cinque indimenticabili pellicole: Don Camillo (1952, di Julienne Duvivier); Il ritorno di Don Camillo (1953, di Julienne Duvivier); Don Camillo e l’onorevole Peppone (1955, di Carmine Gallone); Don Camillo monsignore… ma non troppo (1961, di Carmine Gallone) e Il compagno Don Camillo (1965, di Luigi Comencini).
A contribuire al successo planetario che ancora oggi prosegue, i due attori principali: il francese Fernandel nei panni del religioso e l’italiano Gino Cervi in quelli del politico rosso.
Anno 2018, il mondo Guareschiano di Peppone e Don Camillo è tornato a vivere. In occasione del cinquantenario della morte dell’autore, il comune di Brescello ha organizzato un evento a dir poco grandioso. La città è tornata a essere un set a cielo aperto con rievocazioni dei film, proiezioni di documentari e materiale inedito; visite guidate sui set dei film, esposizioni e punti di interesse.
Punti forti dell’evento, il discorso di Peppone per farsi eleggere deputato con Don Camillo che per sviarlo gli sparò con gli altoparlanti la canzone patriottica, guerrafondaia e dunque molto poco comunista, “Il Piave mormorava”; il carro armato alleato, restaurato e funzionante, e molto altro ancora.
Epicentro della due giorni Guareschiana, Piazza Matteotti, caratterizzata dalla presenza di due statue bronzee raffiguranti proprio Don Camillo e Peppone (opera dello scultore Andrea Zangani), e ovviamente la chiesa di Santa Maria Nascente.
Sabato 15 settembre anche la Benedizione del fiume Po con tanto di Processione con il “Crocefisso di Don Camillo”.
Per i tanti visitatori, a pochi passi dalla piazza, altro imperdibile pezzo di storia: il Museo Peppone e Don Camillo, allestito nel centro culturale S. Benedetto, sede della celeberrima Casa del Popolo durante le riprese.
Entrare nel museo è un viaggio nel tempo. Vecchie locandine in italiano, tedesco, spagnolo. Le biciclette usate dai protagonisti nel toccante finale di “Don Camillo e l’Onorevole Peppone” e sempre dalla medesima pellicola, l’altrettanto mitico microfono usato da Don Camillo dal quale il proprio arringatore elettorale concluse dicendo “Ricordate, nel segreto della cabina elettorale, Dio vi vede…” e lui aggiunse deciso: “…e Stalin no!”.
Dall’epoca Guareschiana ai giorni nostri è passato molto tempo. Sono cambiati gli uomini, la politica e anche gli scontri. Quei due invece sono sempre lì. Ad accendere scintille e candele nell’anima. Peppone e Don Camillo erano acerrimi avversari. Non lesinavano colpi bassi e nemmeno legnate ma come ripeteva la voce fuori campo, “la coscienza aveva sempre l’ultima parola”.
Fatta indigestione di cinema ed emozioni, mi allontano quanto basta per seguire gli ultimi tratti del torrente Enza fino a raggiungere la sua foce che confluisce direttamente nel Po. La massa cinefila è lontana. Adesso ci sono solo io e il Grande Fiume. È tempo di andarsene. Vedo in lontananza il campanile della chiesa di Santa Maria Nascente, teatro di tante e umane conversazioni tra Don Camillo e il Cristo ligneo dell’altar maggiore. Ripenso a quei due uomini, decisi a prevalere a tutti i costi l’uno sull’altro, eppure a rallentare “se l’altro si attardava, proseguendo poi insieme fino al traguardo della vita”.
C’era una volta un paesino chiamato Brescello. C’è ancora oggi e io ci sono dentro. Da questa eterna favola di uomini e donne tramandata da Giovannino Guareschi fino ai giorni nostri, vi porgo i miei più rispettosi saluti. Alzo il mio secchio di latte appena munto e brindo a tutti voi!