Borsalino is synonym with Made in Italy elegance (Photo: Moniaszymanska/Dreamstime)

What a movie, Casablanca. The cinematography, the aesthetics, the music, the actors, of course. Who doesn’t have in mind Humphrey Bogart, dark and handsome, with his fedora hat and trench coat, in the famous airport scene where he says goodbye to Ilsa, interpreted by Ingrid Bergman?

That hat, that fedora, was a Borsalino. 

Borsalino: a name that became a synonym with elegance and high quality, with fashion and durability. In other words: a name that embodies the very essence of our Made in Italy, all the way down to the company’s history. Because Borsalino was born as a family business and developed deep connections with the territory of southern Piedmont and, especially, with the city of Alessandria, where its headquarters are still today.

Behind Borsalino the company is the dream and vision of one man, Giuseppe Borsalino. Class 1834, Giuseppe, known in town as u siur Pipen,  learned the ropes of hat making in Alessandria but began dreaming big in Paris, where he worked at the Berteil hat-making atelier for seven years, gaining the title of hat-making master. Back in Alessandria, Giuseppe joined forces with his brother Lazzaro and opened a small atelier in Via Schiavina. Sometime later, on the 4th of April 1857, he opened his first hat-making factory: it was the beginning of the legendary history of Borsalino hats. 

Shortly after, some 750.000 hats were made annually, but peak production was reached just before the First World War, when the factory in Alessandria reached the astonishing number, especially for those years, of 2 million hats crafted in 12 months. With some 2.500 people employed, Borsalino became a significant source of work for the city, as well as its countryside: quality hats, in those days, were made with rabbit fur felt and demands for it grew exponentially, so much so that many local farmers increased their income significantly by breeding rabbits on a large scale.

The turning point for the company came when, towards the end of the 19th century, Giuseppe Borsalino visited England, where he discovered, in Manchester and London, the secrets of British hat-making. Legends say that, while visiting the Battersby hat-making factory, in London, Giuseppe dipped a piece of cloth in the special coating they used to protect their hats, bringing back to Italy the secret of their durability. For sure, we know he eventually imported from Britain special machinery, which heightened and speeded up production, propelling the company towards new heights of success.

Beautiful Borsalino hats in a window (Photo: Daloiso57/Dreamstime)

The brand became popular worldwide: Borsalino bowler hats were a must in London and, in the US, the brand became a strong competitor for Stetson. In those years, everyone had a Borsalino and, soon, the word was recorded in the Oxford English dictionary as a synonym of wide-brimmed hat.

An interesting article by Anna Rita Russo for Forbes makes us understand how popular and ubiquitous Borsalinos were in the first half of the 20th century, their presence a sine qua non on the head of every man, especially the wealthiest. But don’t be fooled: men in the 30s and the 40s, even those of humbler origins, were likely to have a Borsalino, which they would wear only on special occasions. An addition to their best Sunday outfit.

The iconic status of Borsalino hats was cemented further in the 1960s and 1970s when they were a staple in the wardrobe of cinema stars like Jean-Paul Belmondo and Alain Delon, who appeared as gangsters in a movie directed by Jacques Deray, titled … Borsalino. Speaking of gangsters, even Al Capone was a Borsalino aficionado. 

Russo also shares a curious story with her readers: according to it, Robert Redford, after watching Fellini’s 8 ½, visited the main Borsalino factory in Alessandria to get his hands on a black Borsalino Fedora like the one seen in the movie.

But then fashion started to change and so did the fortunes of Borsalino. In the late 70s and 80s, while still maintaining a niche following, the company reduced drastically its production, which only reached 1.500 pieces a year, and halved the number of its employees. In the following decade, the Borsalinos were forced to sell the family business to an entrepreneurial group from Milan. But things were to get even more difficult in the 21st century, with serious financial issues bringing the company to the verge of bankruptcy in 2013. 

In 2015, private equity investment company Haeres Equita, led by Swiss-Italian entrepreneur Philippe Camperio,  invested more than 10 million euro to save Borsalino from closing down forever. In 2018, Camperio and his society finally became the owners of Borsalino. 

For Camperio, it was a moment of joy, which he explained to Russo with these words: “After three turbulent years, we finally enjoy some tranquility. As a brand, Borsalino is priceless. A small business with the popularity and following of a big name.” Camperio explained how, under the new leadership, Borsalino’s production and sales started growing again, and how some ill-advised managerial decisions may have been the cause of the company’s decline in the first 10 years of the 21st century. 

Today, Borsalino remains a symbol of the best Made in Italy and a fashion statement for both men and women. Pick a model, pick a color and always wear it with pride!

Che film, Casablanca. La fotografia, l’estetica, la musica, gli attori, naturalmente. Chi non ha in mente Humphrey Bogart, scuro e bello, con il suo cappello fedora e il trench, nella famosa scena dell’aeroporto dove saluta Ilsa, interpretata da Ingrid Bergman?

Quel cappello, quel fedora, era un Borsalino.

Borsalino: un nome che è diventato sinonimo di eleganza e alta qualità, di moda e durata. In altre parole: un nome che incarna l’essenza stessa del nostro Made in Italy, fino alla storia dell’azienda. Perché la Borsalino nasce come azienda familiare e sviluppa profondi legami con il territorio del Piemonte meridionale e, soprattutto, con la città di Alessandria, dove ancora oggi si trova la sua sede.

Dietro la Borsalino c’è il sogno e la visione di un uomo, Giuseppe Borsalino. Classe 1834, Giuseppe, conosciuto in città come u siur Pipen, impara le basi della cappelleria ad Alessandria ma inizia a sognare in grande a Parigi, dove lavora per sette anni nell’atelier di Berteil, ottenendo il titolo di maestro cappellaio. Tornato ad Alessandria, Giuseppe unisce le forze con suo fratello Lazzaro e apre un piccolo atelier in via Schiavina. Qualche tempo dopo, il 4 aprile 1857, apre il suo primo cappellificio: è l’inizio della leggendaria storia dei cappelli Borsalino.
Di lì a poco si produssero circa 750.000 cappelli all’anno, ma il picco di produzione fu raggiunto poco prima della prima guerra mondiale, quando la fabbrica alessandrina raggiunse il numero strabiliante, soprattutto per quegli anni, di 2 milioni di cappelli lavorati in 12 mesi. Con circa 2.500 persone impiegate, la Borsalino divenne un’importante fonte di lavoro per la città, oltre che per le sue campagne: i cappelli di qualità, a quei tempi, erano realizzati con il feltro di pelliccia di coniglio e la richiesta del materiale cresceva in modo esponenziale, tanto che molti agricoltori locali aumentarono notevolmente il loro reddito allevando conigli su larga scala.

La svolta per l’azienda avvenne quando, verso la fine del XIX secolo, Giuseppe Borsalino visitò l’Inghilterra, dove scoprì, a Manchester e a Londra, i segreti della cappelleria inglese. La leggenda narra che, visitando la fabbrica di cappelli Battersby, a Londra, Giuseppe intinse un pezzo di stoffa nello speciale rivestimento che usavano per proteggere i loro cappelli, riportando in Italia il segreto della loro durata. Di sicuro, sappiamo che alla fine importò dalla Gran Bretagna dei macchinari speciali, che aumentarono e velocizzarono la produzione, spingendo l’azienda verso nuove vette di successo.
Il marchio divenne popolare in tutto il mondo. Le bombette Borsalino erano un must a Londra e, negli Stati Uniti, il marchio divenne un forte concorrente di Stetson. In quegli anni, tutti avevano un Borsalino e, presto, la parola fu registrata nel dizionario inglese Oxford come sinonimo di cappello a tesa larga.

Un interessante articolo di Anna Rita Russo per Forbes ci fa capire quanto fossero popolari e onnipresenti i Borsalini nella prima metà del XX secolo, la loro presenza una conditio sine qua non sulla testa di ogni uomo, soprattutto i più ricchi. Ma non lasciatevi ingannare: gli uomini degli anni ’30 e ’40, anche quelli di origini più umili, avevano probabilmente un Borsalino, che indossavano solo in occasioni speciali. Un’aggiunta al loro miglior vestito della domenica.

Lo status iconico dei cappelli Borsalino si rafforzò ulteriormente negli anni ’60 e ’70 quando divennero un punto fermo nel guardaroba di star del cinema come Jean-Paul Belmondo e Alain Delon, che apparvero come gangster in un film diretto da Jacques Deray, intitolato … Borsalino. A proposito di gangster, anche Al Capone era un appassionato di Borsalino.
Russo condivide con i suoi lettori anche una storia curiosa: secondo lei, Robert Redford, dopo aver visto il film 8 ½ di Fellini, visitò la principale fabbrica Borsalino di Alessandria per mettere le mani su un Borsalino Fedora nero come quello visto nel film.

Poi però la moda ha iniziato a cambiare e così anche le sorti della Borsalino. Tra la fine degli anni ’70 e gli anni ’80, pur mantenendo un seguito di nicchia, l’azienda ridusse drasticamente la produzione, che raggiungeva appena 1.500 pezzi all’anno, e dimezzò il numero dei dipendenti. Nel decennio successivo, i Borsalino furono costretti a vendere l’azienda di famiglia a un gruppo imprenditoriale milanese. Ma le cose si faranno ancora più difficili nel XXI secolo, con gravi problemi finanziari che porteranno l’azienda sull’orlo del fallimento nel 2013.

Nel 2015, la società di investimento private equity Haeres Equita, guidata dall’imprenditore svizzero-italiano Philippe Camperio, ha investito più di 10 milioni di euro per salvare la Borsalino dalla chiusura definitiva. Nel 2018, Camperio e la sua società sono finalmente diventati proprietari della Borsalino.

Per Camperio è stato un momento di gioia, che ha spiegato a Russo con queste parole: “Dopo tre anni turbolenti, finalmente ci godiamo un po’ di tranquillità. Come marchio, Borsalino non ha prezzo. Una piccola azienda con la popolarità e il seguito di un grande nome”. Camperio ha spiegato come, sotto la nuova guida, la produzione e le vendite della Borsalino abbiano ripreso a crescere, e come alcune decisioni manageriali sconsiderate possano essere state la causa del declino dell’azienda nei primi 10 anni del XXI secolo.

Oggi la Borsalino rimane un simbolo del miglior Made in Italy e una dichiarazione di moda per uomini e donne. Scegliete un modello, scegliete un colore e indossatelo sempre con orgoglio!


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