“Della fatal quiete” è il titolo del nuovo album di Beppe Giampà, il secondo capitolo del filone letterario iniziato con “I mattini passano chiari”, il disco dove ha musicato le poesie di Cesare Pavese. In questo progetto, l’artista astigiano ha scelto i componimenti di poeti italiani nati nel 1800: Giosuè Carducci, Dino Campana, Giacomo Leopardi, Ugo Foscolo, Giovanni Pascoli, oltre al portoghese Fernando Pessoa.
 
Il lavoro di ricerca di Giampà è iniziato con la difficile selezione delle poesie da musicare, un’impresa per nulla facile ma presupposto necessario per la realizzazione di un’opera di questo spessore. La disposizione dei brani nel cd è istintiva, basata su sensazioni a “pelle”, tranne il legame tra brano di apertura e “Infinito” di Giacomo Leopardi, posto a conclusione dell’album.
 
Le note del pianoforte suonato da Marco Genta introducono i versi iniziali di “San Martino”, che Giampà porge con garbo, lasciando alla musica il compito di rivelare il contrasto tra l’atmosfera del borgo e il suono del mare in tempesta, simbolo di un’inquietudine destinata a dissolversi nella nebbia, sino a raggiungere l’apparente tranquillità in cima alla salita. Si tratta di una pace momentanea, la forza del maestrale agita il mare dell’esistenza umana mentre le tenebre della notte incombono.
 
Fisarmonica e basso introducono “La piccola passeggiata del poeta”, tratta dai “Canti Orfici” di Dino Campana. Le parole di Campana guidano e ispirano le note scritte da Giampà, in una sorta di simbiosi che ne fanno canzone vera e popolare, scapigliata e un po’ decadente: “Trovo l’erba mi ci stendo a conciarmi come un cane, da lontano un ubriaco canta amore alle persiane”.
 
Il titolo dell’album è tratto dal verso iniziale del sonetto “Alla sera” di Ugo Foscolo, uno dei brani più orecchiabili, in cui pianoforte e violino introducono il dileguarsi di ogni forma di vita nel silenzio della sera, metafora della morte (nulla eterno), in cui perdersi senza disperazione.
 
“Alla luna” è la canzone/poesia del ricordo, del senso di continuità e del legame tra passato e presente, elementi necessari per alimentare l’immaginazione. Il musicista piemontese, accompagnato da percussioni e fisarmonica, affida alla sua vocalità “Il rimembrar delle passate cose”, enfatizzando l’essenza pessimistica, sottotraccia della poesia di Giacomo Leopardi.
“Lavandare” di Giovanni Pascoli è proposta come brano popolare, tra l’aratro, la fisarmonica e le voci corali, sintesi del madrigale pascoliano, in cui la tecnica poetica dell’analogia evoca il tradimento e l’abbandono subito da una donna, come l’immagine dell’aratro dimenticato in mezzo al campo senza che il lavoro sia terminato.
 
Il tema dell’incedere del tempo lo troviamo anche in “Tedio invernale”, tratto da “Rime nuove” di Giosuè Carducci, in cui il rimpianto per i vecchi tempi si esprime nella metafora della primavera e sul parallelismo tra luce, sole e vita: “Ma ci fu dunque un giorno su questa terra il sole? Ci furono rose e viole, luce, sorriso, ardor?”. 
L’essenzialità dei suoni dona magia alla canzone.
 
La chitarra acustica accompagna “Non sto pensando a niente” di Fernando Pessoa, mentre in “A zacinto” di Foscolo, le influenze progressive esaltano la forza dei sentimenti: “Né più mai toccherò le sacre sponde ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell’onde del greco mar, da cui vergine nacque”.
 
Il disco è stato finanziato, in parte, grazie a una campagna di crowdfunding su Internet cui hanno aderito 44 co-produttori e associazioni culturali da Italia, Francia e Belgio. 
Alla domanda di un giornalista che chiedeva a Giampà perché avesse intrapreso una strada così difficile e discutibile, la sua risposta è stata: “Semplicemente perché voglio illudermi che di poesia ce ne sia davvero bisogno, perché in Italia abbiamo un patrimonio culturale che dovrebbe spogliarsi dei suoi tabù e diventare contaminazione artistica, perché c’è bisogno di sensibilità tra di noi, e la poesia ha questo potere. Probabilmente nello stato attuale delle cose la poesia non ci fornirà il pane quotidiano, ma sicuramente ci renderà persone migliori”.
 
La musica di Giampà è senza fronzoli, tanto affascinante quanto essenziale, adatta al poeta come al ballerino, ricca di raffinate atmosfere e resa suggestiva dal talento di una forte espressività vocale. “Pianto antico” ne è un chiaro esempio, grazie alla forza che la musica dona ai versi di Giosuè Carducci: “Sei ne la terra fredda, sei ne la terra negra, né il sol più ti rallegra, né ti risveglia amor”.

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