Uno dei templi sacri dell’arte pittorica in Milano è l’Accademia di Brera che, oltre ad ospitare una ricca mostra permanente di inestimabili opere pittoriche, è sede universitaria delle Belle Arti benché una parte delle facoltà siano state spostate in altra zona.
 
L’ultima mostra monografica l’ha dedicata a un grande pittore del passato: Giovanni Bellini. Alcuni dei quadri esposti appartengono da anni alla Pinacoteca. 
 
Siamo nel XV secolo: i soggetti dipinti sono principalmente raffigurazioni sacre, in quanto il committente principale era la Chiesa. Gli unici committenti in grado di poter sostenere le spese per la realizzazione di opere d’arte erano o le famiglie facoltose oppure l’istituzione Chiesa, che aveva una notevole ricchezza e autonomia economica. 
 
Così Giovanni Bellini si dedicò alle rappresentazioni sacre, portando però delle innovazioni. Nella nostra società, dove tutto è già stato visto, risulta difficile pensare che si possano apportare innovazioni alle immagini, per quanto ci si continui a provare. La sperimentazione visiva aveva un margine di conquista maggiore nel XV secolo: di contro mancava la consapevolezza del “già visto” che accompagna lo spettatore attuale. Per questo motivo ogni scoperta era un’innovazione tecnica, iconografica e semantica, che andava a sommarsi al già allora ricco patrimonio artistico e del sapere. 
 
 Facciamo un passo indietro.  Nel XV secolo Donatello aprì una sua bottega a Padova e il suo stile mescolava le gestualità dell’antichità a nuovi contenuti narrativi. Il suo modus operandi influenzò molto gli artisti veneti dell’epoca e così fu anche per la bottega dei Bellini. Ebbene sì tutta la famiglia, padre e due fratelli erano di professione artisti: forse impensabile oggi, ma altamente suggestivo da immaginare nel contesto di allora. 
 
Non si può negare che i Bellini presero grossi spunti da Donatello. Giovanni però reinterpretò queste tecniche,  aggiungendo una sorta di realismo sia fisico che psicologico, così da creare maggior pathos nel  fedele che fruiva dei suoi quadri. Il quadro con soggetti sacri serviva ai credenti per visualizzare l’oggetto della preghiera: per questo motivo una maggiore espressione realista dell’opera coinvolgeva  maggiormente a livello emotivo il fruitore.
 
 Il quadro di Giovanni Bellini crea emozione, quella emozione necessaria per coinvolgere i fedeli. Una delle opere più belle e ammirabili della mostra è la Pietà. 
 
Il soggetto della Pietà è stato trattato e realizzato da grandissimi artisti. Alla base di tutte le rappresentazioni artistiche realizzate, che spaziano dalla scultura alla pittura, permane il tema biblico di Maria che regge sulle ginocchia il figlio morto. Un tema artistico prettamente rinascimentale. La Pietà fu di Michelangelo, fu di Tiziano, fu dell’Ansaldo, solo per citarne alcune versioni. Fu anche di Bellini.
 
Nella versione del Bellini l’intimità fra i due personaggi, Maria e Gesù, sembra creare un rapporto da cui il resto del mondo è escluso e in cui interviene timidamente la figura di San Giovanni per alleggerire il pathos. In realtà nessuno è escluso. La mano di Gesù appoggiata sul tavolo è  ponte d’unione con l’esterno: è indirettamente tesa verso noi, il pubblico di oggi, che con occhi forse meno orientati alla fede, ma sicuramente ammirati, osserviamo questa grande opera. 
 
La vera innovazione sta nel saper rappresentare con occhi diversi immagini conosciute. 
Con le innovazioni la realtà che si è sempre conosciuta acquista un valore visivo  e una prospettiva differenti, per quanto il riferimento e significato rimangano invariati. Parte del pathos è dato dal risultato della diversità: tutto ciò che ci è abituale crea in noi stabilità. Infrangendo il nostro precario equilibrio, dove l’abitudine si spezza per lasciar spazio alla novità aumentiamo la reazione emotiva. Così è sempre stato, così fu di fronte alle sue opere.  
 
Bellini abbandona nei suoi dipinti la pesantezza gotica, per ispirarsi liberamente non solo al sopracitato Donatello, ma anche alle opere di un altro grande artista: Mantegna. 
 
Bellini nei suoi quadri ci parla di sentimenti e natura; dipingeva ad olio ispirandosi ai pittori della Fiandra. Prendeva il colore sul suo polpastrello per stenderlo direttamente sulla tela e avere la giusta sfumatura, la corretta intensità per le sue figure: questo creava un intimo rapporto tra il pittore e le sue immagini, rendendoli inscindibili. 
 
Bellini ancora una volta, e soprattutto in questa mostra, ci insegna come il credo principale dell’artista sia sempre e innegabilmente l’arte. Ci mostra come  l’emozione si possa fermare su tela e  possa rendere una sensazione fuggevole lunga come un attimo di eternità, che prescinde dalla nostra concezione di tempo.
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