La ripartenza dopo la distruzione per pensare e costruire una nuova storia nei territori, nelle città, nei borghi. È stato così dopo la Grande Guerra del 1915-1918 e sarà ancora così cent’anni dopo, quando il 2018 registrò il tragico passaggio dell’uragano Vaia. Allora i campi di battaglia si spostarono in alta quota e le vittime furono migliaia e migliaia di alberi sradicati da un vento mai conosciuto. Una devastazione che le popolazioni dei territori montani non potranno mai dimenticare.
Durante la catastrofe naturale di alcuni anni fa, una delle aree più colpite fu Val Visdende, tanto amata da Papa Giovanni Paolo II, nel Comelico bellunese. Migliaia di alberi strappati dalla terra. Quegli alberi che per decenni avevano portato gioia infinita nelle case venete a natale. Quegli alberi che avevano costruito case. Abeti e larici del Cadore che in passato contribuirono anche alla costruzione delle palafitte di Venezia, perchè la storia dei territori montani veneti è strettamente legata a quella della Serenissima.
Dal 26 al 30 ottobre 2018 però, gran parte di quel territorio fu falcidiato da un autentico uragano, venne letteralmente messo in ginocchio, pagando poi un ulteriore carissimo prezzo a causa della pandemia da covid. Quel territorio, forgiato dalla vita dura e dalle epiche imprese della Grande Guerra, ha tuttavia lottato e si è rialzato.
Quattro anni dopo quel tragico evento, le ferite sono ancora evidenti ma la voglia di ricominciare non manca. Partendo da queste considerazioni, è sbarcata all’Ateneo Veneto, la più antica istituzione culturale veneziana in attività, la mostra “Alberabilia” sintesi artistica del progetto ‘La Montagna nel cuore e nella penna’ curato dall’Associazione Think Say Do e finanziato nell’ambito dell’Accordo tra Presidenza del Consiglio dei Ministri e Regione del Veneto per valorizzare i territori colpiti dall’Evento Vaia in memoria della Grande Guerra. Un progetto corale che ha visto la collaborazione di sguardi, orecchi, emozioni e intelletti in ogni sfera della società, dagli studenti delle scuole d’arte, ai ricercatori, ai professionisti.
La mostra ha offerto due binari espressivi. Una collezione di nove schizzi panoramici ad opera di Chiara Masiero Sgrinzatto, che apre la visione dell’Altopiano di Asiago, delle Dolomiti e delle Prealpi Bellunesi sul piano, consentendo di cogliere l’insieme degli eventi che li hanno interessati 100 anni fa e al contempo di esplorarli in dettaglio. Nove sguardi panoramici a infrarosso ad opera di Luca Vascon, uno dei più famosi fotografi panoramisti italiani, che indagano la materia viva e la materia morta, le ferite rimarginate e quelle aperte sia dalla Grande Guerra che da Vaia in tre aree target: l’Altopiano di Asiago, Le Dolomiti e le Prealpi Bellunesi. Le immagini, vere e proprie visioni panottiche sulla carta di ambienti e scene, visibili attraverso un monitor, uno smartphone o appositi occhialini per VR, si sono trasformate in ambienti esplorabili in 3D, consentendo allo spazio di tornare reale nella dimensione immersiva.
La montagna sembra un mondo a parte, e per certi versi lo è. Le montagne venete sono templi laici di storia e cultura. Ogni croce su una vetta, ogni fortino mimetizzato nella pietra dolomitica tramanda storie di coraggio e appartenenza. Impossibile fare anche la più blanda delle gite o la più spensierata delle passeggiate senza essere rapiti dalle testimonianze dei suoi umili protagonisti. Uomini e donne, che con fatica hanno costruito comunità, paesi e città, ancora oggi cuori pulsanti di territori di rara bellezza.
A distanza di cent’anni dalla fine del primo conflitto mondiale, un vento di distruzione è tornato a soffiare prepotente. Le radici della vita però si stanno dimostrando più forti di qualsiasi cataclisma, bellico e naturale, e ancora una volta hanno saputo reagire al fato avverso.
“La preghiera è stare in silenzio in un bosco” ha tramandato il poeta Mario Rigoni Stern (1921-2008). Dinnanzi a ciò che è accaduto in un passato lontano e in uno più recente, gli esseri umani si sono risollevati. La Storia insegna che nulla e nessuno potrà mai sradicarli dalle loro amate montagne. Oggi, nel terzo millennio, ancora di più.
Sono appena arrivato in laguna. Passando da piazza San Marco, ho raggiunto in pochi minuti la Scola di San Fantin, sede dell’Ateneo Veneto. Su per la scalinata marmorea che conduce alla Sala Lettura con l’esposizione temporanea “Alberabilia”. Passo dopo passo, scalino dopo scalino, ecco il richiamo delle vette alpine e la loro antica memoria. Tra le antiche opere d’arte dei maestri veneziani (Tintoretto incluso), mi si presenta uno “spettacolo” fatto di cronaca, memoria e linguaggi moderni. Per qualche minuto sono l’unico visitatore. Riesco a percepire l’odore delle resine lignee. Il rumore dei ruscelli che s’incuneano nella terra. I canti popolari. Poco dopo sono di nuovo davanti alla laguna. C’è ancora un gigantesco albero di natale. Un abete, per la precisione. Guardo quel tronco agghindato a festa, penso a una storia d’amore mai doma con il paesaggio, il territorio montano e la sua natura rigogliosa che sta recuperando il perduto splendore poco alla volta.